(ASI) Enzo D’Orsi, classe 1953, cronista sportivo, ha seguito la Juventus in 21 stagioni (1979-2000) per il Corriere dello Sport, redazione di Torino, dove ha ricoperto l’incarico di capo della redazione. Quattro Mondiali e cinque Europei da inviato, più di 250 partite di coppe europee, migliaia tra tutti i campionati. Ha lavorato a Paese Sera nella redazione di Perugia, e Leggo, oltre ad una parentesi al settimanale Rigore.
“Gli undici giorni del Trap” è il suo primo romanzo, una accurata analisi, mai realizzata, degli stati d'animo di un uomo di fronte alla sfida più attesa della storia della Juventus: la finale di coppa dei Campioni contro l'Amburgo.
Potrebbe essere definito un diario del periodo psicologicamente più combattuto di uno dei più grandi allenatori del calcio italiano ed internazionale, Giovanni Trapattoni.
Il romanzo di Enzo D’Orsi comincia domenica 15 e termina mercoledì 25 maggio 1983: un periodo temporale che va dall'ultima partita di campionato,-vinta contro il Genoa-, alla finale di Coppa dei Campioni, perduta ad Atene contro l'Amburgo, a causa di una rete realizzata da Felix Magath.
“È una sorta di viaggio introspettivo, di approfondimento psicologico, mai realizzato prima, degli stati d'animo di un uomo solo di fronte alla sfida più attesa della storia della Juventus”- dice l'autore che ha vissuto quella lunga vigilia a stretto contatto con l'ambiente juventino.
“Trapattoni aveva ipotizzato una mossa che avrebbe potuto rappresentare una rivoluzione sportiva: escludere dalla formazione iniziale Paolo Rossi, il capocannoniere mondiale, “Pablito”, apparso sfiorito dopo le fatiche della Coppa del Mondo. Al suo posto il Trap aveva vagliato due alternative, Domenico Marocchino, ala, o Furino, lo storico capitano, un mediano per puntellare il centrocampo e proteggere meglio la retroguardia. Quando giunse il momento di decidere, dopo aver ascoltato Boniperti e il fedelissimo vice Bizzotto, Trapattoni decise di confermare la fiducia a Rossi”.
L’allenatore di Cusano Milanino decise di cambiare idea nell’ultima mezz’ora che precedette il fischio di inizio. L’undicesimo giorno è quello destinato ad entrare per sempre nella memoria degli sportivi e dei tifosi bianconeri. Questa finale non è stata perduta come molte altre, è stata la finale che la Juventus non avrebbe dovuto perdere. Era l’occasione migliore per inaugurare un ciclo nel solco delle altre grandi d’Europa. L’occasione per dimostrare che anche la Juventus della gestione attenta al bilancio, di proprietà della stessa famiglia dal 1923, aveva capito che il calcio stava cambiando e il peso delle competizioni internazionali sarebbe cresciuto di anno in anno.
La prefazione dell’opera è curata da Roberto Beccantini ed all’interno è possibile leggere una intervista a Marco Tardelli.
Redazione Agenzia Stampa Italia