(ASI) Solitamente questi due termini vengono usati come sinonimi. “Aristocratico” è una parola composta da due lemmi greci e cioè “aristos” (migliore) e “kratos” (potere). Nello schema degli ordinamenti politici teorizzati da Aristotele nella “Politica” l’aristocrazia è la seconda forma di governo, avente per degenerazione l’oligarchia (“potere dei pochi”); le altre due coppie antitetiche sono monarchia/tirannide e democrazia/oclocrazia.
Si notino anche le discrepanze semantiche fra i due termini: se “aristocratico” si può applicare tranquillamente anche ai modi di comportarsi delle persone per indicare atteggiamenti raffinati e signorili, “oligarchico” ha una connotazione negativa. Fin dall’antica Grecia, infatti, si può constatare questo fatto: esempi ne sono il governo oligarchico dei Quattrocento nel 411 a. C. e il regime del Trenta Tiranni nel 404 a. C.
Nel pensiero occidentale, dunque, è perpetrata l’equazione “oligarchie : governo negativo” ma ha acquisito una connotazione più descrittiva solo con la cosiddetta “teoria delle élites” secondo cui ogni governo è un governo di pochi. G. Mosca e V. Pareto non si servivano esplicitamente della parola “oligarchia”, ma R. Michels sì e disse che in ogni organizzazione -ivi compresi i partiti politici- il potere si organizza nelle mani di pochi. “Nobile” è un termine che deriva dal latino e più precisamente dal verbo “noscere” (conoscere), quindi il nobile è colui che deve essere conosciuto.
Da ciò è passato a indicare una persona (o una famiglia) che, per nascita o investitura sovrana, è in qualche modo privilegiata; l’aggettivo “nobili”, inoltre, è frequentemente usato in senso sostantivato. In campo semantico serve a indicare qualità morali come la generosità, la bontà d’animo e la delicatezza. Può essere accostato a certi gaso in ambito chimico in quanto essi non scambiano gli elettroni con nessun altro elemento. Nell’antica Roma “i nobili” erano i cosiddetti Patrizi e i letterati danno diverse interpretazioni di tale parola. Secondo Plutarco i membri del Senato erano chiamati tali perché erano padri di figli legittimi, perché erano in grado di indicare i rispettivi padri (cosa non facile per chi si era trasferito nella nuova città ossia Roma) o perché erano gli incaricati di prendersi cura dei cittadini più deboli (come farebbe un padre).
Quest’interpretazione ha una spiegazione mitologica e deriva dal personaggio di Patrone, uno dei compagni di Evandro (l’alleato di Enea nell’ultima parte dell’Eneide), sempre pronto a prestare aiuto ai bisognosi. Dionigi di Alicarnasso fa risalire l’origine del termine ai tempi di Romolo: quest’ultimo avrebbe suddiviso le persone in plebei e patrizi contando fra i secondi quelli più noti per nascita, virtù e denaro. Tito Livio, invece, sostiene la discendenza dei Patrizi dai 100 patres costituenti il primo Senato ai tempi di Romolo.
G. R.
Fonti
Platone, “Repubblica”
Aristotele, “Politica”
R. Michels, “Sociologia del partito politico”
Plutarco, “Vita di Romolo”
Dionigi di Alicarnasso, “Antichità romane”
Tito Livio, “Ab urbe condita”