(ASI) L’Abruzzo degli anni difficili. Le sofferenze dell’ultima guerra e i grandi gesti d’altruismo della popolazione. Gloriose e commoventi pagine di storia raccontate da un ex prigioniero di guerra inglese che è stato nei campi di concentramento di Chieti e Sulmona. Straordinaria testimonianza d’amore dello scrittore e pittore John Verney per una terra sempre generosa ed accogliente.
Donne e uomini che hanno rischiato la vita, per aiutare chi aveva bisogno di essere protetto e sfuggire alla morte. C’era tanta miseria, ma si era ricchi di bontà. « “Un pranzo di erbe” è un libro identitario. Immancabile alla comprensione della propria realtà da parte di un abruzzese, proprio perché viene da uno straniero, cittadino del mondo. Racconta, anche nei piccoli accadimenti privati, storie di quotidiano eroismo, tanto più vero quando non avvertito così, tanto più vero quando non aveva nome.» A sottolinearlo è lo scrittore Giovanni D’Alessandro, autore della postfazione al libro in edizione italiana. Con il titolo “A Dinner of Herbs“, nel 1966 il volume venne pubblicato a Londra. Dopo quasi mezzo secolo l’Associazione Culturale “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail” e il Liceo Scientifico Statale “Fermi” di Sulmona hanno curato l’edizione italiana di “Un pranzo di erbe”. Fa parte della Collana di Memorialistica “E si divisero il pane che non c’era” delle edizioni “Qualevita”. Verney ha realizzato i disegni della copertina e quelli all’interno del libro che è stato presentato a Sulmona il 15 aprile scorso, al cinema Pacifico.
L’iniziativa è del Comitato Scientifico collegato all’AssociazionemCulturale “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail”. Il prof. Mario Setta, per anni docente di Storia e Filosofia al Liceo “Fermi”, nonché storico dell’Associazione, afferma che “John Verney non ha scritto un libro, ma ha scritto una lettera d’amore per i contadini che li avevano sfamati, aiutati, amati. Non ha confessato solo i suoi sentimenti, ma ha dimostrato che amare significa conoscere la storia, rivivere l’ambiente, condividere fatiche e speranze”. Ritornato dopo anni a Sulmona, l’ex prigioniero inglese scrive: ”Nessun altro luogo al mondo può vantare testimonianze così importanti in un’area così ristretta”. La terra di Celestino e di Ovidio. L’incanto del Morrone. Luoghi della memoria. “Sotto la villa di Ovidio, vicino a Fonte d’Amore, si erge un monumento completamente diverso. Una serie di baracche in rovina, circondate da filo spinato oramai interrotto. Le baracche non vengono citate nelle guide, ma hanno dato il proprio contributo ad un breve capitolo di storia locale”. Ricorda che nel 1943 “il recinto delle baracche, divise in settori da muri di mattoni rovinati, aveva accolto tremila soldati britannici prigionieri di guerra e un piccolo numero di jugoslavi, tutti fuggiti sul monte Morrone dopo l’annuncio dell’armistizio. (…) Ne furono catturati duemila a causa della fame, della sete e della stanchezza e rinchiusi in uno dei settori del campo. Il restante migliaio, in fuga sulla Majella, chiedeva cibo ai pastori che, a settembre, non avevano ancora lasciato gli alti pascoli con le greggi”. E i pastori diedero loro da mangiare e da bere. L’accoglienza della gente d’Abruzzo in quegli anni terribili è stata eccezionale. E la riconoscenza da chi è stato aiutato, come l’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, è stata sempre molto grande.
La giornalista Rai Maria Rosaria La Morgia, presidentemdell’Associazione culturale “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail”, inaugurato da Ciampi ed ora alla XIV edizione (25-27 aprile), definisce il lavoro di Verney «un racconto che va oltre il libro di memorie e diventa il diario di un “osservatore partecipante”. Un viaggio nel tempo, fatto di andare tornare rivedere incontrare.» Cita poi una riflessione molto significativa del pittore e scrittore: “Nessun panorama mi commuove così tanto come questo: la valle di Sulmona, osservata da qualsiasi versante. (…) Tutto mimriempie d’un desiderio quasi doloroso, riportandomi alle dieci settimane della mia vita durante le quali, sebbene affamato e impaurito, ero intensamente vivo”. Spiega La Morgia: “Vivo, non per il fatto di dover affrontare le traversie della guerra, della fuga, dei tradimenti, ma per le relazioni nate in quei giorni. Con Sam, Antonio, Dionino, Gabriele e tanti altri. I contadini. Un mondo legato alla terra come lui,l’inglese che dopo la guerra aveva cercato di realizzare “il sogno di unire l’arte all’agricoltura”. Verney racconta la solidarietà, la paura, l’umanità di quelli che lo avevano aiutato.»
L’idea di tradurre questo libro viene da lontano . “Avevamo presentato un breve riassunto - ricorda Mario Setta - già nel 1995 in occasione della prima edizione dell’opera più importante “E si divisero il pane che non c’era”, che fa da cornice a tutte queste storie, definita da Ciampi “un bellissimo libro che io conservo gelosamente” e dall’ambasciatore britannico Richardson “fascinating and moving reading”, lettura affascinante e commovente. In Inghilterra molti sono i libri pubblicati da ex prigionieri di guerra che raccontano le storie italiane. Finora ne abbiamo tradotti e pubblicati cinque: Fox, Jones, Simpson, Derry ed ora Verney” .
Prof. Setta, qual è la particolarità di quest’opera?
“Il libro di Verney si distacca molto dalle altre memorie. E’ l’opera di un artista, non solo pittore, ma scrittore. Ha richiesto molta cura nella traduzione e nella forma stilistica. A mio parere è una delle opere più interessanti, articolate e avvincenti sull’ambiente, la storia e la gente d’Abruzzo. Un’opera leggibile da diverse angolazioni: dall’aspetto storico a quello autobiografico, dalla descrizione dei panorami ai monumenti, dalla metafora del viaggio (“Sono venuto per riprendermi qualcosa…”) al thriller (il caso Kempster), dalle tematiche filosofiche di morte/vita, guerra/pace, intuizione/ragione, individuo/società, tempo lineare e tempo circolare all’aneddoto di stile socratico del tafano, ecc.”
Verney dedica “Un pranzo di erbe” a Sinibaldo Amatangelo, Antonio Crugnale e ai loro familiari. Nel libro ci sono le loro foto scattate nel 1963 dallo stesso autore. Un atto di riconoscenza e d’amore per la generosa gente d’Abruzzo.
“Non solo Verney, ma anche gli altri hanno scritto e dedicato le loro opere alle persone che li avevano accolti e aiutati a rischio della fucilazione da parte dei tedeschi. Il libro di Uys Krige, famoso scrittore sudafricano, amico di Ignazio Silone, nella versione originale in inglese “The Way Out”, tradotto in italiano col titolo “Libertà sulla Maiella”, viene dedicato ad un contadino di Bagnaturo di Pratola, Vincenzo Petrella, che lo aveva aiutato durante la fuga. Non solo, ma nel dopoguerra lo chiamò a dirigere per alcuni anni la sua fattoria in Sudafrica. Anche Fox dedica il libro alla famiglia Silvestri di Introdacqua. Si tratta di storie eroiche, perché gli italiani rischiavano di più dei prigionieri fuggiaschi. Basta ricordare il caso del pastore Michele Del Greco, di Anversa degli Abruzzi, che venne fucilato per aver dato ospitalità a decine di prigionieri in fuga”.
Un grande storico inglese, Eric Hobsbawm, il famoso autore del libro “Il secolo breve”, ha scritto: “Ho sentito tanti racconti dell’Italia, prima ancora di conoscerla, dai miei amici che vi erano stati durante la guerra, perché vi combatterono o perché l’avevano attraversata fuggendo dai campi di prigionia: gente la cui vita era stata spesso salvata dall’aiuto del tutto disinteressato di famiglie di contadini, che non avevano nessuna particolare ragione per soccorrerli se non quella della solidarietà umana. Questo impressionò molti di noi, della nostra generazione”. Prof. Setta, come storico che da tempo si occupa di questi fatti e personaggi, qual è il suo pensiero?
“L’osservazione di Hobsbawm che anche noi abbiamo riportata nella nuova edizione del libro “E si divisero il pane che non c’era” non è certamente una specie di adulazione nei confronti degli italiani, cosa peraltro aliena in uno storico, ma è un dato oggettivo, storicamente provato, rilevabile dalle innumerevoli testimonianze. D’altronde il più grande storico inglese sui prigionieri di guerra alleati in Italia, Roger Absalom, ne ha scritto un’opera completa e dettagliata, “A Strange Alliance”, tradotta in italiano col titolo “L’alleanza inattesa: Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945)”, Uguccione Ranieri di Sorbellon Foundation, ed. Pendragon, Bologna 2011. Absalom, purtroppo scomparso da qualche anno, è stato il nostro più importante consulente storico, amico dell’Associazione e del Liceo Scientifico di Sulmona, autore della prefazione alla traduzione del libro di Simpson, “La guerra in casa”. Anche il recentissimo libro dello storico abruzzese Costantino Felice, “Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo” (Donzelli, 2014) si sofferma a lungo su questa nuova pagina della Resistenza, definita dalla storiografia contemporanea “Resistenza Umanitaria” (Claudio Pavone, Adolfo Pepe, ecc.)
Lei ha avuto l’opportunità di incontrare qualcuno degli ex prigionieri tornati a Sulmona per rivedere il campo di concentramento?
“Sì. Ne ho conosciuti tanti. Verney no, perché in quegli anni non mi trovavo a Sulmona. Tra i più famosi cito Jack Goody, oggi novantaquattrenne, antropologo di fama internazionale, docente a Cambridge. Ha raccontato la sua disavventura di ex prigioniero fuggiasco nel libro “Oltre i muri. La mia prigionia in Italia”, (Il mondo3 edizioni, Roma 1997).Di queste storie, con Maria Rosaria La Morgia, stiamo approntando una specie di antologia dal titolo “Terra di Libertà”. La pubblicazione coinciderà con il 70° anniversario della liberazione dell’Abruzzo, a giugno di quest’anno. Storie di uomini e donne che hanno lasciato impronte indelebili su questa terra d’Abruzzo. Terra di libertà, perché aspirazione e traguardo di ogni protagonista, in un tempo in cui la libertà era perseguitata, martoriata, assassinata. E se perdere la libertà è una cosa terribile, perdere il concetto di libertà è ancora peggio. Pertanto, per conservare e tenere alto il concetto di libertà, abbiamo pensato di raccogliere idee e testimonianze di vita di tante persone, famose o sconosciute, italiani o stranieri, che hanno lottato, sofferto e dato la vita per la libertà di tutti”.
Domenico Logozzo *
*già Caporedattore TGR Rai