La richiamo per i non aquilani la Maldicenza, questa strana forma di “virtù civica” del “dire il male”. La Festa di Sant’Agnese, solennità popolare tutta laica che ha il suo apice il 21 gennaio d’ogni anno, non ha nulla a che fare con la giovane vergine martirizzata a Roma nell’anno 250 d.C., se non per il fatto – come ben racconta lo storico aquilano Amedeo Esposito in un suo bel libro sull’argomento – che in un monastero dedicato alla santa, sito nei pressi di Porta Branconia, venivano ospitate le “malmaritate”, donne da redimere che di giorno prestavano servizio in umili faccende domestiche nelle dimore dei signori e potenti della città, mentre a sera rientravano in monastero dove avevano ospizio. Ma il 21 gennaio, giorno della ricorrenza canonica di Sant’Agnese, era proibito lavorare. Le malmaritate si ritrovavano nelle bettole e nei fondaci della città, insieme al popolo minuto, per dire il male fatto dai potenti presso i quali erano in servizio, mentre critiche verso il potere civile costituito non erano consentite, pena l’esilio perpetuo e il taglio della lingua, in osservanza all’editto del 1430.
Dunque questa strana festa aquilana ha elevato per secoli la maldicenza a virtù civica, rifuggendo dal pettegolezzo, ed esprimendosi con una critica fortemente mordace, sincera e costruttiva, con spiccate venature d’ironia nel dire la verità in piena libertà. Insomma, è stato per secoli un altro degli elementi della forte impronta libertaria degli aquilani, dello spirito autonomistico e ribelle della città fondata nel 1254 con il concorso di un’ottantina di Castelli d’un vasto territorio. La festa, tramandata nei secoli attraverso le confraternite popolari, nell’Ottocento si arricchì anche con circoli borghesi e nobili. Il regime fascista, che vietò tale festività temendone lo spirito libertario, ne oscurò, senza peraltro riuscire a distruggerle, storia e consuetudine. Che infatti ripresero nel 1959 con la rinascita della Confraternita dei Devoti di Sant’Agnese “Sancta Agnes Garrulorum Praesidium”, intorno alla qualesi sono poi costituite quasi duecento confraternite, intus ed estra moenia, che in gennaio si riuniscono intorno a tavole lautamente imbandite “maldicendo”, ossia dicendo “male del male” secondo l’atavica tradizione della libertà civile aquilana, e per eleggere priori, badesse e numerose altre colorite cariche per l’anno sociale. Da alcuni anni la festività è assurta a nuovo fulgore, con convegni, spettacoli e premi letterari, nonché con il conferimento della Targa Socrates Parresiastes ad insigni personalità che si siano distinte particolarmente, nel dire e nell’agire, nell’eroica virtù della parresia.
Necessaria questa premessa per parlare del bel libro “La Maldicenza – Dire il male e dire male “ di Paola Aromatario, edito da One Group, 2013, L’Aquila. Di questa tradizione il volume offre uno spaccato nitido, ripercorrendone la storia secolare e lo spirito, con spunti di notevole interesse. Con una prefazione di Anna Maria Paola Toti, docente dell’Università di Roma “La Sapienza”, il volume contiene due interessanti conversazioni con Tommaso Ceddia e Angelo De Nicola, due pilastri del rinnovato fulgore culturale impresso dal 2007 all’antica tradizione della Festività di Sant’Agnese. Dire male e dire il male, si dice nel sottotitolo. Una differenza sottile nella forma, ma difatto sostanziale. Talmente forte, che il valore del dire il male si esprime quasi in una forma di catarsi collettiva nel tentativo di far emergere verità spesso sottaciute o condannare comportamenti devianti. Il dire male, al contrario, è una maldicenza “aggressiva”, a volte “malvagia”, come la menzogna, la calunnia, la diffamazione e l’ingiuria. Con questo saggio Paola Aromatario scandaglia le diverse forme della maldicenza - i rumors, i pettegolezzi, il gossip - ma prima ancora le relazioni tra gli individui fatte di sguardi, di etichette e stigmi. Si spinge fino ad esaminare il fenomeno sociale di Sant’Agnese che si celebra da secoli nella città dell’Aquila. La festa strana, intrisa di anima antica, la festa del dire il male unica nel suo genere in quanto evoca la bontà e l’utilità sociale della maldicenza positiva, della comunicazione sana e del senso della giustizia. Uno spaccato sociologico a cui fa da sfondo l’esercizio umano di generalizzare la verità, di oggettivizzare l’altro da sé, di plasmare categorie di giudizio, ma anche di ristabilire l’ordine armonico dell’essere comunità.
Paola Aromatario è nata e vive a L’Aquila. Dipendente della Polizia di Stato, si è laureata In Scienze dell’Investigazione all’Università dell’Aquila. E’ cultore della materia presso l’Associazione Nazionale Sociologi (ANS), dipartimento Abruzzo. Ha pubblicato il volume “Ricomincio da zero, anzi da 3,32 – Il diariodella mia memoria nei giorni dopo la catastrofe”, uscito nel 2009 in due edizioni (Edisegno, Roma e Edizioni Arkhè, L’Aquila). Ha ideato e progettato il documentario sul terremoto dell’Aquila Un altro domani (BranMedia Srl, 2011), realizzato in collaborazione con altri professionisti.
Goffredo Palmerini
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