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Storia. La vergogna del 1938  L'Austria si vide a lungo come la prima vittima dell'espansione nazional - socialista

(ASI) Qualche giorno prima del 75° anniversario, il Presidente Federale austriaco Heinz Fischer ha indicato come una "catastrofe" e al contempo come una "vergogna", l'estinzione dello Stato austriaco e la sua incorporazione nel Reich tedesco. Una catastrofe abbattutasi su qualcuno, una colpa che si è auto - inflitta. Tra questi due poli si staglia la visione austriaca dopo la seconda guerra mondiale su quel 1938.

Il 15 marzo 1938, un martedì, si raccolsero dentro e attorno la Heldenplatz di Vienna più di centomila persone per giubilare con Adolf Hitler. Il Reichsstatthalter (Commissario) nazional - socialista Seyss - Inquart annunciò Hitler come "l'ultimo organo supremo dello Stato Federale austriaco", perché tutti gli altri erano sciolti, attuando la seguente decisione: "L'Austria è un Land del Reich tedesco". Poi Hitler prese la parola e riportò pateticamente i fatti "davanti alla storia tedesca" come "l'ingresso della mia Patria nel Reich tedesco". La folla giubilava. Gli avversari dei nazisti, che avevano mantenuto un profilo basso, vennero arrestati o divennero clandestini. Gli ebrei già angariati, espropriati, uccisi o indotti al suicidio - non (solo) da teppisti che provenivano dal Reich, bensì anche dai vicini e gente del Paese. Questa fu la vera infamia.

Di conseguenza, fu una catastrofe. Anche i nazisti austriaci ebbero la loro parte, tuttavia la rottura provenne soprattutto dall'esterno del Paese. La pressione della Germania nazional - socialista si era forgiata nel corso degli anni e in ultima divenuta insostenibile. Il 12 febbraio 1938 Hitler "chiamò a sé" il Cancelliere austriaco Kurt Schuschnigg a Berchtesgaden costringendolo ad un accordo. Nel caso in cui Schuschingg non avesse acconsentito, Hitler gli fece intendere una minaccia militare, con la presenza di due Generali. Schuschnigg acconsentì ad accogliere Seyss - Inquart nel suo Gabinetto come Ministro degli Interni e della Sicurezza. Inoltre i nazisti e il loro Partito, proibiti in Austria dal 1933, avrebbero potuto nuovamente agire.

E furono giorni di passioni ancora, in Austria. Nei primi giorni di marzo Hitler tenne un discorso al Reichstag, che seguiva l'accordo di Berchtesgaden, udito alla radio del Paese confinante e in forma pubblica. Poi i membri del Partito nazista formarono delle fiaccolate, usando il precedentemente vietato "Saluto nazista". I nazional - socialisti sembravano trionfare. Così, il Cancelliere Schuschnigg puntò tutto su una carta. Ad Innsbruck, il capoluogo della sua patria tirolese, il 9 marzo, un mercoledì, tenne un discorso travolgente sulla libertà e i tedeschi, sull'Austria sociale e annunciò per la domenica successiva un referendum. Nelle schede elettorali stampate in fretta era previsto solo un "Sì" per un'Austria libera.

Allora Hitler convocò i Generali Keitel, Beck e Von Manstein. Avrebbero dovuto guidare i percorsi per l'invasione della piccola Nazione vicina, possibilmente senza abbandonare la fratellanza tra i due popoli. Se ci fosse stata della resistenza, "quella era da rompere con la massima spietatezza". Il nome dell'impresa era "Operazione Otto".

Hitler impose a Schluschnigg degli ultimatum: annullamento del plebiscito, posti per i nazisti e ritiro dal cancellierato. Quando, l'11 marzo, a Vienna si stava discutendo fino a che punto se e quanto si dovesse proseguire ancora e chi avesse dovuto formare un nuovo Governo, Hermann Göring comunicava telefonicamente i nomi per un Gabinetto nazional - socialista. Un telegramma, con il quale Seyss - Inquart avrebbe chiesto "aiuto" alla Germania, venne spedito da Berlino a Vienna. Per le otto di sera Schuschnigg tenne un discorso radiofonico in una camera parlamentare deserta, dove informava il popolo austriaco dell'ultimatum tedesco, delle richieste di costituire un Governo secondo i desideri di Berlino, altrimenti "sarebbe cominciata l'avanzata delle truppe tedesche". Comunicò che "noi cediamo alla violenza". Spargimenti di sangue dovevano essere evitati. Fu ordinato di non opporre alcuna resistenza.

Il mattino del 12 marzo, alle 5:30 i soldati tedeschi occuparono gli attraversamenti confinari a Lindau, Mittenwald, Kiefersfelden, Freilassing, Burghausen e Schärding. Nelle ventiquattr'ore successive i soldati - polizia, SS, SA giunsero sino a Vienna, senza incontrare resistenza. Dall'estero cominciò l'invasione. Già da tempo le potenze occidentali si erano rassegnate all'inevitabilità che l'Austria entrasse nella sfera di potenza di Hitler. L'Italia che aveva sostenuto a lungo l'indipendenza dell'Austria, per la rivalità di Mussolini con Hitler, decadde come garante. La Francia era paralizzata in una crisi di Governo, la Gran Bretagna spedì una tiepida nota. L'unico Paese che protestò presso la Società delle Nazioni contro l'ingresso delle truppe tedesche fu il Messico.

Il 13 marzo 1938, una domenica, a Vienna alle 8 di sera venne proclamato una legge formata da 5 articoli, esprimente il fatto che l'Austria fosse divenuta un Land del Reich tedesco. Il 10 aprile la "Wiedervereinigung" (riunificazione, ndt) venne sigillata tramite un plebiscito. La Legge fu approvata in precedenza in una seduta del Gabinetto "all'unanimità", senza che fosse letta dal neo - nominato Cancelliere Seyss - Inquart. Il Presidente del Parlamento Wihlelm Miklas si rifiutò di firmare la legge. Ritiratosi, trasferì i suoi poteri al Cancelliere. Non ci fu più alcuna opposizione politica interna né alcun altro tipo di piattaforma. La legge entrò in vigore il giorno del suo annuncio. L'Austria cessò di essere uno stato indipendente.

Dopo la guerra, da quando l'Austria tornò ad essere una Repubblica, essa fece della sua raison d'être l'esser stata la prima vittima di Hitler. Dopo mezzo secolo di tabù, si riuscì a toccare l'argomento. Uno, dei certo non ultimi scandali, fu la rappresentazione teatrale del 1998 di Thomas Berhardt chiamata "Heldenplatz".  Oggi il pendolo è sparito dall'altra parte. Il discorso (oggi) è più pregno di vergogna, ancora di più, di disastro.

Frankfurter Allgemeine Zeitung, 15 marzo 2013

Sthephan Löwenstein

Traduzione di Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia

 

 

 

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