In tutti i film proiettati in occasione della sesta edizione del festival ricorre la tematica del 'coraggio delle donne'. Il primo incontro, avvenuto in data 8 marzo, aveva visto protagonista la figura di donna-coraggio proposta da Guido Chiesa, regista del film 'Io sono con te', incentrato sull'immagine di Maria madre di Gesù, in una veste diversa da come ci viene tramandata dalla tradizione.
Il 15 dello stesso mese è stata ospite del cinema Zenith Cristina Borsatti, autrice del volume biografico 'Monica Vitti' e, per l'occasione, è stato proiettato il film 'L'avventura', mentre nella serata di ieri, giovedì 22 marzo si è giunti al terzo appuntamento della rassegna cinematografica, al quale ha partecipato Marina Spada, regista del film Il mio domani e del documentario Poesia che mi guardi (proiettati nella stessa serata).
Il film 'Il mio domani', esce nelle sale cinematografiche italiane nel 2011. Attrice protagonista è un'insolita Claudia Gerini nei panni di una manager che lavora in una società di formazione aziendale.
La sua vita sembra scorrere lentamente, fra le giornate che passa nella caotica e grigia Milano, laboratorio politico del nostro Paese e i momenti condivisi con il padre ormai anziano e desideroso di morire, nella vicina campagna.
Il film si apre con una scena che fa presagire i toni della narrazione: Monica, la protagonista, è al volante della propria auto, intenta a spannare il vetro e proprio in questa gestualità si percepisce la ricerca inconscia della propria identità di donna e della riscoperta del proprio equilibrio interiore.
Gestualità che attraverserà tutto il film e che, assieme alla struttura architettonica della città di Milano costituisce l'oggetto di analisi e di riflessione da parte della regista.
Prima di 'svelare' i volti degli attori, infatti, Marina Spada fissa il proprio sguardo sui movimenti, sui gesti che li riguardano e sul paesaggio che fa da sfondo alla scena.
La protagonista del film, Monica, è single ed è l' amante del suo capo, si dedica al lavoro e, nel tempo libero, frequenta un corso di fotografia, unico momento di svago e di parziale evasione. Nella bassa Padania vivono anche la sorellastra di Monica, frutto di una scappatella in Grecia della madre e il figlio di questa, un ragazzino di forte sensibilità che manifesta sintomi di depressione.
Ciò che risalta all'interno del film è il senso di disorientamento e di non appartenenza che sembra coinvolgere Monica e che corre in parallelo con una Milano che vorrebbe risorgere e riqualificarsi.
La protagonista, nell'impartire nozioni ai propri allievi all'interno della società in cui lavora, fa uso di una lavagna in cui scrive le parole-chiave del marketing e dello sviluppo, fra cui: vuoto, condivisione, cambiamento e potere. Tutto farebbe pensare che questi termini non siano casuali e che la regista voglia riproporli con l'intenzione di associarli alla condizione esistenziale di Monica: il senso di vuoto profondo che la pervade, il bisogno della condivisione, la necessità del cambiamento. L'unica parola alla quale la stessa protagonista non associa una spiegazione è 'potere'. Dopo averla scritta, infatti, Monica scappa via e cerca rifugio altrove...che si tratti di un tentativo di fuga da chi esercita un potere ingiustificato su di lei, rendendola succube e incapace di reagire? Se così fosse le figure che costituiscono una minaccia potrebbero essere i due personaggi maschili: il capo-amante, che dimostra di non avere alcuna considerazione di lei e il padre che tutte le sere, quando era piccola, la faceva inginocchiare, obbligandola a pregare di aiutarlo a morire.
Ma qualcosa cambia nella vita di Monica, proprio dopo la morte del papà: la donna si lascia andare ad un pianto liberatorio, si sbarazza di quella compostezza ostentata e imposta dalle convenzioni sociali e inizia a fare un grosso lavoro su stessa, arrivando all'estremo tentativo di riconciliazione con la madre che l'aveva abbandonata in giovane età per scappare con un altro uomo. Monica sceglie di ripartire da li, dalla Grecia, il luogo che aveva segnato il distacco fra le due donne e dove si ritroverà nei panni di una guida turistica.
“Se chiudo gli occhi a pensare/quale sarà il mio domani/vedo una larga strada che sale/dal cuore d'una città sconosciuta/verso gli alberi alti/d'un antico giardino.”
Con questi versi della poetessa milanese Antonia Pozzi si conclude il film di Marina Spada 'Il mio domani' ed è proprio a questa artista che la regista dedica un documentario, intitolato 'Poesia che mi guardi'.
Antonia Pozzi vive a Milano nei primi anni del Novecento, di famiglia benestante, muore suicida all'età di ventisei anni, poiché incompresa nelle sue capacità poetiche. La giovane poetessa frequenta il liceo classico Alessandro Manzoni, dove si innamorerà del suo insegnante di greco e latino, Antonio Maria Cervi. Un amore ricambiato ma difficile da vivere. Nel 1930 si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove seguirà la scuola del filosofo Antonio Banfi. Antonia trascorreva i suoi momenti liberi a guardare e a scrivere versi, a guardare e a scattare foto per non far scappare quegli attimi di cui già aveva nostalgia.
“La stesura di una pagina non implica soltanto la risoluzione di un problema letterario-scriveva-ma rappresenta di per sé la risoluzione vivente di un problema di vita.”
Nel 1938, la poetessa subisce un colpo al cuore a causa della diffusione delle leggi razziali che coinvolge amici e conoscenti. Tenterà di togliersi la vita, ingerendo delle pastiglie e adagiandosi poi sopra un prato innevato e si spegnerà la sera stessa del 3 dicembre 1938 nella sua casa. Antonia Pozzi ha lasciato il ricordo di una donna vera in un mondo di ruoli stereotipati e ci vorranno anni perché venga data voce alla sua arte.
Marina Spada ha dichiarato di essersi dedicata a questo documentario per spingere alla riflessione sulla necessità della poesia, cercando dunque di metterla in scena. “Io ho voluto fare un film sulla vita e non sulla morte” ha affermato la regista al termine della sua presentazione.
Il documentario si apre con alcuni versi della poetessa milanese:
“le mie parole sono le immagini/ immagini per non sentirmi estranea, per darmi un motivo nel mondo/ leggo le parole dei poeti per capire il mio cuore e quello degli altri/cerco le mie immagini tra le cose del mondo perché mi rivelino ciò che non comprendo.”
Sulla scena compare Maria, una giovane cineasta che è affascinata dalla Pozzi e decide di 'studiarne il viso', di osservare le foto che ha scattato e i filmini di famiglia nei quali compare.
Determinante sarà l'incontro con gli H5N1, un gruppo di studenti, che crede nel contagio poetico e fa poesia 'da muro'. La giovane riesce a coinvolgere i ragazzi nel suo progetto di rinascita della poesia di Antonia Pozzi e li convince a tappezzare la città con i versi della poetessa, affinché le venga attribuito quel riconoscimento che in vita le era stato negato.
Il documentario si chiude con l'immagine emblematica dei tram che attraversano la città di Milano, tappezzati di alcuni versi scritti dalla poetessa milanese:
“E tu non dire ch'io perdo il senso e il tempo della mia vita /se cerco nella sabbia il sole e il pianto dei mondi/se getto nelle cose la mia anima più grande/ e credo ad immense magie...”
“Perché la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell'anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell'arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare...”
“Rifammi tu degna di te, poesia che mi guardi.”
Ultimo incontro previsto all'interno della rassegna cinematografica:
- 29 marzo: Gemellaggio con il Festival Libero Bizzarri.
Franca la Prima, ore 21.00. Video conferenza con Sabina Guzzanti.
148 Stefano. Mostri dell'inerzia, ore 22.30. Sarà presente Ilaria Cucchi.
Maria Vera Valastro – Agenzia Stampa Italia
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