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L'Aquila perde Luciano Fabiani, una delle sue migliori intelligenze



L’AQUILA PERDE LUCIANO FABIANI, UNA DELLE SUE MIGLIORI INTELLIGENZE

Scompare un insigne politico, protagonista della migliore stagione culturale aquilana

di Goffredo Palmerini


(ASI) L’Aquila. Con grande tristezza apprendo della scomparsa di Luciano Fabiani. Nel tempo più complicato e difficile, L’Aquila perde una delle sue menti più lucide e avanzate, nella politica e nella cultura. La vita pubblica di Luciano Fabiani ha segnato il periodo di massima creatività e lungimiranza nel capoluogo abruzzese, nelle prospettive di sviluppo d’una regione che si dibatteva tra arretratezza e provincialismo. Nato nel 1930 a L’Aquila, giovanissimo, insieme ad Angelo Narducci, Giovanni De Santis, Sivano Fiocco ed altri, Fabiani dette vita ad un fervido cenacolo culturale, sfociato poi nell’impegno politico nelle file della Democrazia Cristiana, di cui è stato per 40 anni uomo di punta. Alla fine degli anni Cinquanta fu eletto per la prima volta al Consiglio Comunale dell’Aquila, portando a frutto la sua intelligenza e l’indubbia capacità di traguardare oltre l’orizzonte visibile. In quegli anni, infatti, L’Aquila si distinse nel panorama nazionale per l’attitudine a sperimentare nuove vie, in politica e nella cultura. Il governo civico, nei primi anni Sessanta, anticipò di alcuni mesi la nascita del centrosinistra aperto alla collaborazione dei Socialisti, che sarebbe nato in Italia solo nel 1963, dopo il celebre discorso di Aldo Moro al Congresso di Napoli della Dc.

In quello stesso 1963 Luciano Fabiani, con Giuseppe Giampaola ed Errico Centofanti, diede vita al Teatro Stabile dell’Aquila, un’operazione culturale di grande valore che, per originalità di concezione ed arditezza delle sperimentazioni artistiche, assurgerà presto all’attenzione nazionale, come uno dei migliori teatri pubblici d’Italia. Di quel periodo culturale e politico, ricco di fermenti nella società aquilana alimentati sin dal dopoguerra dal Gruppo Artisti Aquilani, Fabiani sarà un protagonista. A fianco di Lorenzo Natali, ormai politico nazionale di rango, egli mette in mostra nell’attività politica ed amministrativa le sue doti di lungimiranza. Eletto Consigliere nella prima legislatura della Regione Abruzzo, malgrado i numeri siano contro L’Aquila, insieme a Federico Brini del Pci riesce a trovare un punto di mediazione in Consiglio Regionale perché nello Statuto si conservi all’Aquila il ruolo di capoluogo regionale. Un risultato positivo che ambienti retrivi della città strumentalizzarono fino a far scoppiare i moti dell’Aquila, tra fine febbraio e inizio marzo 1971, quando le sedi della Dc e del Pci vennero incendiate, come incendiata fu la casa di Luciano Fabiani.

Un mese fa citavo questi drammatici fatti, ricordando la figura di Alvaro Jovannitti. Furono anni di forte lacerazione per L’Aquila, nei quali intelligenza politica ed etica della responsabilità prevalsero sugli estremismi qualunquisti. I partiti di allora, specie Dc e Pci, con uomini accorti e profondamente radicati nella società, seppero governare quella difficile congiuntura. In Regione Fabiani entrò nella Giunta Crescenzi, assumendone la vice Presidenza, e nella Dc l’incarico di Segretario provinciale. L’Abruzzo, per sua iniziativa, avviò la prima Conferenza regionale dei trasporti, un fatto talmente “rivoluzionario” che gli comportò più d’un problema. Nella città capoluogo si avviava una stagione di grandi scelte amministrative, grazie ad un dialogo intenso e produttivo tra le forze politiche sul futuro della città, guidato dal sindaco Tullio de Rubeis, che faceva sopra tutto perno su Luciano Fabiani e Alvaro Jovannitti. Piano regolatore generale, nascita delle aziende municipalizzate, Consigli di Quartiere, accesero un moto d’ampia partecipazione popolare che caratterizzò quell’esperienza amministrativa, contrassegnata da lotte sindacali nelle fabbriche contro le gabbie salariali, nelle quali la politica seppe davvero svolgere il suo ruolo.

 

In quegli anni cresceva accanto a Luciano Fabiani un gruppo principalmente di giovani, quasi una scuola politica che attingeva riferimenti ideali nel cattolicesimo democratico, a Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Ezio Vanoni ed altri. L’impegno politico comune legava all’Aquila persone di più lunga esperienza, come Umberto Albano e Sandro De Nicola, con giovani impegnati nell’amministrazione civica o in ruoli politici, come Giampiero Berti, Marcello Verderosa, Goffredo Palmerini, Giuseppe Placidi, Filippo Palumbo, Mario Di Salvatore, Franco Madama, e molti altri ancora. Una militanza attiva nell’ambito della sinistra democristiana, con riferimenti nazionali vicini alla Sinistra di Base (Galloni, Bassetti, De Mita), alla Sinistra Sociale (Donat-Cattin) e ai Morotei. Un gruppo di amici, restati tali anche quando le scelte personali si differenziarono, nella Dc o altrove. Mentre al Comune dell’Aquila nasceva il primo esperimento nazionale di centrosinistra allargato al Pci, con l’amministrazione Lopardi, le vicende interne alla Dc tennero Luciano Fabiani fuori dalle candidature e dagli impegni diretti nelle istituzioni; ripristinati, poi, con la seconda elezione al Consiglio Regionale, nel quinquennio 1980-85, rivestendo le funzioni di vice Presidente dell’Assemblea regionale.

Tenace e determinata la sua presenza in Consiglio Regionale, in una visione dell’Abruzzo policentrica ed equilibrata, nel rispetto delle vocazioni territoriali, sinergiche allo sviluppo della regione. Una visione da politico di vaglia, che spesso entrò in contrasto con i campanilismi e con una concezione dell’Abruzzo conflittuale tra zone costiere e zone interne. E tuttavia lucida è sempre stata la visione di Luciano Fabiani sulla qualità dello sviluppo delle aree interne che esaltasse l’ambiente, le valenze storiche ed architettoniche del territorio, una presenza industriale avanzata, un qualificato sistema di formazione universitaria e un ruolo primario della cultura, non solo di fruizione, ma sopra tutto di produzione. In questo contesto il ruolo del capoluogo regionale, secondo Fabiani, non competeva - come non avrebbe potuto competere - sui numeri nelle rappresentanze istituzionali, ma nella qualità e nella lungimiranza della proposta politica, come nelle scelte di sviluppo del territorio regionale lontane dai localismi. Quando questo delicato equilibrio tese a venir meno, egli arrivò persino a proporre provocatoriamente la nascita della “Regione Sabina” tra le province dell’Aquila e Rieti.

Ecco, questo è stato Luciano Fabiani, uomo politico fine, di grande intelligenza e cultura, capace di inusitate aperture al dialogo e a nuove frontiere, per quanto talvolta egli potesse apparire altero e persino scontroso. Tale è stata per lui l’esperienza al Comune dell’Aquila negli anni Novanta, non senza contraddizioni talvolta stridenti con il suo retaggio politico e culturale. Dunque, una persona che all’utilità delle posizioni all’ombra di grandi personaggi e alle conseguenti gratificazioni, ha preferito sempre competere con le proprie forze, conservando la libertà intellettuale e la sua autonomia di giudizio. A questa scuola molti di noi si sono allevati, me compreso, recependone valori e generosità d’impegno, formandoci nel dovere di servire la comunità di cui si è parte. Ma anche esaltando la libertà del confronto politico senza timori riverenziali, consapevoli che ciascuno è portatore di valori e degno di considerazione e rispetto per le proprie idee.

Ad un certo punto, proprio in quegli anni Novanta, le nostre strade politiche si divisero, ma non l’affetto, la stima e l’amicizia che ci avevano per tanti anni legato. La generazione cresciuta con Luciano Fabiani, a vari livelli, ha saputo esprimere il suo valore in diversi campi di attività e tanto deve alla sua scuola di onestà e dedizione al bene comune. L’Aquila avrebbe ora molto bisogno, per la sua rinascita, di uomini del suo valore intellettuale e politico. Di persone capaci non solo di occuparsi e risolvere i problemi enormi dei nostri giorni, ma di saper “anticipare” il futuro d’una città, come L’Aquila, dalle grandi potenzialità e con vocazioni di respiro nazionale ed internazionale. Uomini che all’interesse del momento preferiscano coltivare la sana utopia del futuro per le generazioni che verranno, del progetto e della qualità come regole, come insegna la plurisecolare storia della nostra città. Ai figli Leila, Luigi, Francesca e Luca, con i quali abbiamo condiviso per molti anni ore e spazio della loro casa, in Via del Cardinale, il luogo dei nostri incontri con Luciano, vanno i sentimenti del nostro affetto e della nostra condivisione.

 

 

 

 

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