PER AMORE DEI NOSTRI POPOLI NON ABBIAMO TACIUTO
La profezia di don Peppe Diana e don Pino Puglisi
di Salvo Garofalo
(ASI) Avranno sorriso da lassù ammiccando soddisfatti don Peppe e don Pino la sera del 22 aprile quando ospiti e operatori della Casa di accoglienza Don Puglisi di Modica hanno incontrato i ragazzi della Nuova Cucina Organizzata intestata a don Diana a Casal di Principe. Probabilmente don Puglisi e don Diana, prima del loro martirio per mano della criminalità organizzata non si erano mai incontrati. L’occasione di questo incontro nel loro nome è stata l’esperienza vissuta per tre giorni dalla Casa Don Puglisi nei luoghi del casertano dove sono fiorite tante esperienze di solidarietà e di inclusione sociale proprio a seguito dell’uccisione di don Peppe. Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Maiano sono luoghi tristemente famosi per essere la roccaforte del clan dei casalesi denunciato da Roberto Saviano nel libro Gomorra. Ma sono anche le terre dove l’impegno evangelico e civile di don Peppe Diana contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella società campana. Il suo scritto più noto è la lettera, dal titolo eloquentemente ispirato al profeta Isaia,
Per amore del mio popolo non tacerò, un documento diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana insieme ai parroci della foranìa di Casal di Principe, un manifesto dell'impegno contro il sistema criminale. Don Peppe visse negli anni del dominio assoluto della camorra casalese, legata principalmente al boss Francesco Schiavone detto Sandokan. Gli uomini del clan controllavano non solo i traffici illeciti, ma si erano infiltrati negli enti locali e gestivano fette rilevanti di economia legale, tanto da diventare "camorra imprenditrice". Il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, don Giuseppe Diana venne assassinato a 36 anni nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si accingeva a celebrare la Santa Messa. L'omicidio, di puro stampo camorristico, fece scalpore in tutta Italia. Aveva scritto don Peppe: “Come battezzati in Cristo ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere segno di contraddizione. Coscienti che come chiesa dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà. È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli.
La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. Ora le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una ministerialità di liberazione, di promozione umana e di servizio. Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno, Dio ci chiama ad essere profeti!”. Don Peppe Diana in Campania e don Pino Puglisi a Palermo sono stati martirizzati a un anno di distanza. Due preti coraggio, qualcuno li ha definiti. Due preti di strada, secondo una definizione che rischia ormai di diventare uno stereotipo. Invece don Peppe e don Pino erano due preti e basta. Semplicemente due uomini di Chiesa, convinti che quando un popolo soffre, quando una comunità è ferita, quando la dignità umana è schiacciata e messa a rischio non ci si può voltare dall’altra parte, occorre ascoltare l’invocazione di giustizia e farla propria, sentirla propria. Come aveva scritto nel 1992 un altro profeta contemporaneo, don Tonino Bello: “è una Chiesa che, pentita dei troppo prudenti silenzi, passa il guado e si schiera. Si colloca dall’altra parte del potere e rischia la pelle. E forse non è lontano il tempo in cui sperimenterà il martirio”.
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