(ASI) Allo stato attuale, le regioni da cui sono arrivate più richieste di professionisti sanitari ucraini in fuga dalla guerra, puntualizzano sono Veneto (250), Lombardia (130) e Piemonte (90). Ancora: Sicilia (80), Emilia Romagna e Liguria (70 ciascuna), Piemonte e Lazio (60 ciascuna), Campania (40), Umbria e Sardegna (35 ciascuna), Friuli Venezia Giulia (20), Toscana (25), Calabria (15), Trento e Abruzzo (10 ciascuna).
Il Consiglio dei ministri, infatti, ha approvato il decreto Cura Italia (pubblicato in GU n.70 del 17-3-2020), contenente le misure economiche per rispondere all’emergenza sanitaria del coronavirus. Con il Dl 17 marzo 2020, n. 18 – “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19” – che ha nell’articolo 13 la “Deroga delle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie”. Entrambi, dunque, hanno finalità di solidarietà.
Il primo nei confronti dell’Italia, il secondo nei confronti dell’Ucraina, e in entrambi i casi per un periodo di tempo determinato. Chi deciderà di restare in Italia, dovrà fare la stessa pratica come hanno fatto i numerosi medici e infermieri stranieri, per far riconoscere il loro titolo di laurea in Italia e l’esame in lingua italiana per iscriversi all’Ordine professionale. Parole, queste, che rimandano a quanto già espresso dalla Fnopi, che ha manifestato la massima disponibilità a condividere un percorso che può rivelarsi sia umanitario sia funzionale, anche se non certo nelle vesti di logiche sostitutive, quanto di logiche di affiancamento. Dicendo comunque di no a qualsivoglia sanatoria futura (“Per un’eventuale stabilizzazione è imprescindibile verificare la qualità della formazione professionale di chiunque provenga dall’estero”, puntualizza la Federazione nazionale Ordini infermieri).
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia