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Il rogo di Primavalle e il suo calvario giudiziario
(ASI) La strage di Primavalle è innanzitutto il dolore di una famiglia svegliata a notte fonda da uno sgradito ospite che fa irruzione nella propria abitazione: un incendio doloso appiccato con un ordigno e alimentato dalla benzina lasciata filtrare da sotto la porta d’ingresso. La strage di Primavalle è per moltissimi, giovani che nel 1973 non erano ancora nati, un racconto che rimane impresso nella mente, che provoca un gelido fremito che sale lungo la schiena e lascia sgomenti. La strage di Primavalle è anche un’immagine, quella di una sagoma completamente carbonizzata che si affaccia da una finestra, ultimo disperato tentativo di fuggire da un inferno di fuoco che di lì a poco divorerà due vite innocenti: quella di Virgilio Mattei, 22 anni, e quella di suo fratello Stefano, appena 10 anni. Sui due, colpevoli soltanto del “peccato originale” di essere figli del segretario della sezione del MSI del proletario quartiere Primavalle, si abbatte così la sedicente “giustizia proletaria” (come da rivendicazione firmata Brigata Tanas). Paradosso dell’alienazione verso cui conduce l’odio ideologico dell’antifascismo. La strage di Primavalle è poi una lettera che Franca Rame, esponente dell’ossequiata intellighenzia di sinistra e moglie del premio nobel Dario Fo, scrisse all’assassino Achille Lollo durante la sua latitanza, assicurandogli assistenza legale e soldi, a nome dell’organizzazione di mutua assistenza tra comunisti denominata Soccorso Rosso. La strage di Primavalle è inoltre il sangue del ventitreenne studente greco Mikis Mantakas, ucciso il 28 febbraio 1975 dai proiettili sparati da un commando rosso (rimasto impunito) nel corso degli scontri avvenuti durante il processo agli imputati accusati di quel rogo. Ma la strage di Primavalle è, in ultimo ma non ultimo, un intrigato calvario giudiziario che dura da quel tragico 16 aprile 1973 fino ai nostri giorni.

Le indagini conducono presto in direzione dell’eversione di sinistra, negli ambienti di Potere Operaio. Vengono chiamati in causa i tre attivisti del gruppo Achille Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo. Per loro, dopo che il solo Lollo avrà scontato 2 anni di detenzione preventiva, nel ’75 vi sarà piena assoluzione per insufficienza di prove, sebbene il PM avesse richiesto l’ergastolo per il reato di strage. Bisogna attendere il secondo grado di giudizio per assistere ad una condanna nei confronti dei tre: 18 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. Una sentenza a cui, tuttavia, essi hanno già provveduto a sfuggire preventivamente. Infatti, grazie all’indispensabile aiuto del dirigente di Potere Operaio Oreste Scalzone, sono scappati all’estero. Ad anni di distanza, nel 2005, un nuovo colpo di scena: condanne estinte per prescrizione. Nello stesso anno una sorta di epidemia confessionale - dovuta presumibilmente alla convinzione di essere ammantati di assodata impunità - colpisce Achille Lollo e Manlio Grillo. Il primo dei due, durante un’intervista per la carta stampata, ammette la propria responsabilità - fatto straordinario dopo anni conditi esclusivamente da silenzi e discolpe - e inoltre allarga il cerchio ad altri tre complici (guarda caso, una dei tre, la compagna Diana Perrone, è figlia di Alessandro Perrone, editore de “Il Messaggero”, quotidiano che ai tempi del primo processo si prodigò in una battaglia innocentista a difesa degli autori del rogo). Poco tempo dopo, un nastro con una registrazione viene fatto recapitare da un giornalista ad un magistrato: la voce è quella di Grillo che sconfessa la versione del suo ex compagno. Egli conferma la tesi originaria dei tre esecutori, ma in più fa riferimento ad un elemento nuovo: i mandanti occulti. A seguito di questa insolita ed inaspettata volontà di confidarsi da parte di Lollo e Grillo e, in particolare, delle sibilline dichiarazioni di quest’ultimo, la Procura di Roma decide di riaprire il caso ipotizzando il reato di strage. Il fermento dura però ben poco, in quanto una serie di cavilli burocratici legati a patti giudiziari tra l’Italia, il Brasile e il Nicaragua (paesi in cui hanno vissuto fino a quel momento da latitanti Lollo e Grillo) impedisce lo svolgimento di un nuovo processo.

Per attendere un nuovo atto della vicenda è necessario fare un salto sino al recentissimo passato, sino a qualche mese fa. L’ennesimo guizzo ardente è saltato da un rogo che, almeno nel cuore di molti, continua ad arroventarsi da quella tragica notte del 16 aprile 1973. Un guizzo che ha bruciato, ancora una volta, le speranze di chi rifiuta verità di comodo e per questo non accantona la via, seppur impervia e piena di ostacoli, che conduce alla completa conoscenza dei fatti che insanguinarono l’Italia in quegli anni definiti “di piombo”. E’ lo scorso 17 gennaio quando la Procura di Roma convoca Achille Lollo per essere interrogato come “persona informata sui fatti”. La notizia rimbalza sui media e carica d’aspettative il giorno in cui Lollo e il magistrato che lo ha convocato si troveranno faccia a faccia. Ebbene, l’ex militante di Potere Operaio si avvale della facoltà di non rispondere. Nulla di fatto, nemmeno stavolta. Nemmeno stavolta si apre una breccia che avrebbe potuto condurre ad un quadro un po’ più chiaro su una vicenda che va ascritta di diritto nel tristemente folto novero dei misteri d’Italia. Del resto, non c’è da stupirsi poiché l’insolente reticenza di Lollo si pone in linea di coerenza con un passato inquietante fatto di omertà, di ambigue contraddizioni e di imbarazzanti coperture. Spettri che si agitano intorno a quella tragedia da ormai trentotto anni e che, con ogni probabilità, rimarranno tali almeno fin quando non sarà rimasto più nessuno di coloro i quali, magari ad oggi comodamente posizionati dietro le quinte delle alte sfere del potere politico, verrebbero intaccati da gravi accuse. Perché – è bene chiarirlo – se oggi Achille Lollo, dopo essersi esibito in una desolante scena muta, gode della possibilità di uscire dall’aula di tribunale come cittadino libero, di altrettanta iniqua libertà godono gli attori occulti di quella cruenta pagina di storia italiana. Confessioni di Manlio Grillo docent.

 
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