L’economia è il tema che più lo appassionava e ha approfondito nel corso degli anni. Fino a diventarne vero esperto, economista colto e autorevole. Ma le vere connotazioni di Alberto Aiardi erano la semplicità e l’apertura verso gli altri, l’attenzione costante per i problemi socio-culturali. Il suo tratto abituale era la modestia, la disponibilità e l’apertura verso tutti. Anche quando era salito ai fasti di sottosegretario di Stato in vari governi, non l’ho mai visto arrivare con l’auto blu, scorta o guardie del corpo. Per le strade di Teramo, la sua città, si mostrava da uomo rimasto sempre uguale, senza farsi mai prendere la mano (e il garbo) dai lustrini del potere.
Pure per questo Alberto Aiardi è stato amato e rispettato. Da personaggio mai al centro di attacchi e critiche, che oggi non risparmiano i signori della casta. Dopo gli studi e la laurea, l’ex parlamentare aveva iniziato giovanissimo ad occuparsi di economia presso gli uffici studi della Camera di Commercio. Non c’erano convegni, dibattiti o altro, che non si avvalessero dei suoi interventi e ricerche. Poi, la politica, la militanza nelle file della vecchia Dc e l’elezione giovanissimo al parlamento. Fino a ricoprire più volte incarichi di governo, grazie alla stima e considerazione conquistate nel partito e nel parlamento, fra i grandi big di Piazza del Gesù, che ne sapevano apprezzare preparazione e qualità intellettuali.
Politico “all’antica”, nel senso che affari e conventicole non erano nelle sue corde e neppure nel suo costume di vita. Vicino alla corrente di Amintore Fanfani e Lorenzo Natali, da parlamentare Aiardi non aveva mai seguito e condiviso metodi e strategie che non avessero alla base il rispetto per gli altri e per le regole della buona politica. Quella, per capirci, di cui ormai si è persa quasi ogni traccia. Uomo di fede, era un cattolico praticante vicino al mondo ecclesiastico e religioso. Oltre che all’economia, aveva dedicato attenzione al problema dell’emigrazione in parlamento e, da vice-presidente nazionale dell’Anfe, a fianco della fondatrice Maria Federici, della quale era stato stretto collaboratore e, infine, biografo attento e documentato.
L’ultimo lavoro non poteva che dedicarlo all’economia della provincia di Teramo. Il territorio per cui ha speso gran parte del suo impegno in parlamento e nel governo. Ma anche, e fino all’ultimo, come studioso ed economista. Davvero un libro-testamento, quello che ha voluto lasciarci, con cui ripercorre, come egli stesso sottolinea, “il cammino che una comunità, la provincia teramana, ha realizzato attraverso un secolo, l’ultimo del secondo millennio, nella sua crescita economica e sociale, evidenziando le profonde trasformazioni, gli obiettivi e i risultati, non disgiunti dal quadro generale dei problemi che toccavano l’intera società nazionale, e quella stessa internazionale”. Con uno sguardo finale verso il passato (“il salto decisivo di qualità è quello di essere ‘cerniera attiva’, come realtà ormai facente parte a pieno titolo delle sinergie dell’area centrale del Paese, con la capacità di guardare al nuovo secolo con rinnovato spirito di volontà ed intraprendenza”).
Un passaggio di consegna, il suo, a chi saprà e vorrà continuarne l’opera, “con l’augurio - parole sue- che possa essere di stimolo ad ulteriori e più ampi approfondimenti”. Anzi, testamento di uno studioso che - lasciandoci mentre l’economia è nella tempesta - ha voluto affidarci la storia del cammino di un territorio e il suo personale incoraggiamento a guardare il futuro con fiducia.
Marcello Martelli
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