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Vivisezione. Inascoltati gli scienziati contro

(ASI) L’uomo, nella sua lunga evoluzione, è riuscito meglio di ogni altra specie a sopravvivere gli stravolgimenti climatici e adattarsi alle condizioni avverse dei molteplici habitat terrestri. Durante questo processo si è avvalso della sua arma più potente, la ragione, fino al punto di domare gli elementi naturali e sottomettere le altre specie prive di quel formidabile valore aggiunto. Gli animali sono così diventati utili al suo progresso inarrestabile, impiegati nei lavori più duri, ridicolizzati per allietarlo nei suoi momenti di malinconico divertimento, sfruttati e martoriati senza compassione per soddisfare la domanda compulsiva di un consumo alimentare diventato nevrotico, fino allo scempio sistematico dei loro corpi e della loro dignità nelle sperimentazioni di laboratorio. Quest’ultimo aspetto non agevola una presa di posizione risoluta davanti alla possibilità di sconfiggere i mali più minacciosi per la nostra stessa sopravvivenza: un istinto che trascende sia la ragione sia gli altri impulsi -pur connaturati- alla convivenza e alla pietà. Almeno fino ad oggi, momento della sua raggiunta complessità in cui l’uomo ha a disposizione un bagaglio di esperienze e conoscenze tali da consentirgli di intraprendere strade alternative, per continuare a procedere verso la primazia universale con un ritrovato senso etico.

Dopo anni di lotte, la sperimentazione animale è stata sottratta all’industria cosmetica che non si è fatta scrupoli nel testare i suoi intrugli chimici su povere bestie indifese per il piacere edonistico dei moderni narcisi. In campo medico invece la questione rimane aperta, anche se alla luce di novità importanti, prodotto di quella ragione capace –quando vuole- di ispirare invenzioni e scoperte volte al benessere generale, non solo umano.

Tuttavia, l’atteggiamento dell’informazione generalista e di una parte ancora sostanziale della comunità scientifica, seguita ad essere stigmatizzante nei confronti di quel numero sempre più cospicuo di scienziati che chiedono il riconoscimento delle pratiche alternative alla vivisezione animale. Lo fanno i medici e gli accademici riuniti nel Comitato Scientifico Equivita, sistematicamente esclusi dai dibattiti pubblici sull’argomento come nel caso della recente conferenza stampa intitolata “PERCHÉ È ANCORA NECESSARIO SPERIMENTARE SUGLI ANIMALI PRIMA CHE SUGLI UMANI”, tenutasi presso il Senato della Repubblica. Nonostante questo incomprensibile ostracismo, le ragioni dei tanti che ancora sostengono l’inevitabilità della vivisezione animale, vanno tenute in debita considerazione: il riconoscimento scientifico di una teoria o di una procedura è il risultato di un lungo processo di verifiche e confronti all’interno della comunità degli esperti. Il contraddittorio e la propensione al cambiamento sono caratteristiche fondamentali di qualsiasi disciplina, dove uno dei presupposti della scientificità non è la dogmaticità –certamente più rassicurante- ma la potenziale falsificabilità di ogni evidenza, alla luce delle nuove conoscenze future.

Viene così il sospetto che altre logiche sottendano la questione. Non si tratta qui di una temuta rivoluzione copernicana che possa mettere in crisi equilibri secolari; stiamo parlando di dare voce a chi ne ha diritto e facoltà, per essere certi di conferire sicura legittimità ad ogni conclusione comunemente raggiunta. Almeno questo lo dobbiamo ai nostri amici a quattro zampe.

 

Fabrizio Torella – Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

 
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