Se si trattasse, quella del professore, di opinione personale che non incidesse sul piano decisionale programmatico del ministero, non avrei da eccepire ma solo da affermare il contrario. Sembra, invece, si tratti di posizione autoritativa, tale da smontare come ‘voli pindarici’ e come inconcludente luogo comune le argomentazioni a favore del turismo, espresse poco prima dallo stesso Sindaco della Città, Massimo Cialente.
Ciò che lascia stupefatti non è quello che il prof. Calafati dice sulla necessità di potenziamento della nostra università, cosa su cui tutti concordiamo, ci mancherebbe altro, quanto la drastica perentoria esclusione che egli fa del turismo quale volano, assieme all’università, della ripresa economica della città. Dunque i propositi espressi dallo stesso ministro Barca nello scorso mese di giugno, quando osservava come occorresse volgersi all’università in quanto questa assicurerebbe vantaggi immediati, mentre quelli del turismo verrebbero a lungo periodo, erano solamente un anticipo di quanto ora conchiuso e ribadito ‘scientificamente’.
Ma guarda caso, il 16 marzo 2012 al Forum «Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila» si comunicò solennemente il risultato emerso dallo studio condotto per ben tre anni dall’OCSE e dall’università di Groningen: la ’ricetta’ per la ripresa economica dell’Abruzzo e dell’Aquila è … il turismo sostenibile. Oggi, un altro ma rapidissimo studio promosso dal ministero e che, si noti, ha avuto ancora l’OCSE tra i suoi promotori, esce con una conclusione opposta: no, il turismo è ricetta illusoria, L’Aquila non è affatto una città turistica, per rinascere deve puntare solo sull’università e la ricerca. Siamo dunque nella confusione totale. In particolare, non si capisce da quali basi ’scientifiche’ il recente studio abbia potuto dedurre apoditticamente che la ricetta universitaria sia alternativa, non complementare, alla ricetta turistica. Parrebbe tutto il contrario, sulla base di due semplici costatazioni.
La prima. Che l’università, da sola, assurga a ruolo trainante dell’economia locale non si riscontra in nessuna delle importanti città che si citano al riguardo, neppure a Groningen, dove giocano un ruolo sostanziale anche l’agricoltura e il turismo, appunto – non a caso la città, come la vidi nel 1992, è bella urbanisticamente come nel mio ultimo libro auspico sia condotta la ricostruzione migliorativa dell’Aquila. È dunque da dubitare fortemente che all’Aquila l’università, ripeto da sola, possieda potenzialità economiche tali da sostituire il ruolo trainante che, ad esempio, svolse la Siemens nel trentennio di sua permanenza tra noi prima che fosse delocalizzata.
La seconda. Il ricasco economico dell’università va a beneficiare la sola città, non si estende al territorio. Saremo tutti d’accordo, spero, che non è soltanto la città a dover rinascere, ma anche i borghi del ’cratere’. O vogliamo fare il deserto attorno ad una felice ’L’Aquila universitaria’? Un’industria turistica culturale e naturalistica, la quale, si noti, non è delocalizzabile ed oltretutto è eco-sostenibile, se promossa e sviluppata come lo è in altre regioni montane d’Italia risponderebbe alle esigenze, in primis della città e, al contempo, dei borghi del ’cratere’.
In conclusione, puntare sull’università è bene e lo si deve fare, ma non escludendo per principio, come vuole Calafati, il turismo: da sola, l’università non basta, non risolve il problema né per la città né per il territorio. L’ottica da avere è la contraria: puntare sull’industria turistica come strategia territoriale (questa era l’originaria conclusione dello studio OCSE marzo 2012), integrandola, per la città capoluogo, ad es. col polo universitario. Diversamente si tratterebbe, quello fatto dall’OCSE da marzo a settembre, di un ’voltafaccia’ che potrebbe camuffare una scelta di ripiego, un ’de minimis’ in altro senso, che lascia spazio a varie ipotesi. Purtroppo non favorevoli al futuro dell’Aquila.
Orlando Antonini
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