(ASI) Dopo Italia-Lussemburgo, la Nazionale italiana di Prandelli appare ancora indecifrabile, non ha ancora fatto capire quale è il suo progetto tecnico, la sua cifra di gioco, la sua natura tattica.
Balotelli da solo in avanti ha chiaramente dato segni di isolamento e, quando ha avuto le occasioni, non è stato un cecchino infallibile. Il centrocampo folto non ha comunque garantito le “chiusure preventive” agognate dal ct. Ci dà forse più possesso palla, ma questo non si traduce quasi mai in azioni pericolose in profondità (solo l’ingresso di Cassano ha vivacizzato la manovra in questo senso grazie al tasso tecnico cristallino del barese). Abbiamo preso gol su corner da dilettanti contro i super-dilettanti lussemburghesi e tra dieci giorni, all’esordio mondiale, dovremo vedercela contro un’Inghilterra che sui calci piazzati punta molte delle sue chances.
L’organizzazione dell’evento ha avuto luci e ombre. L’eccezionale afflusso di pubblico non ha causato i temuti disagi al traffico, anche perché gli spettatori hanno saggiamente pensato di lasciare le auto sufficientemente distanti dallo stadio. All’ingresso dei cancelli già due ore e mezza prima dell’evento, si sono create lunghe code, inizialmente ordinate e gioiose, poi attraversate da nervosismi e proteste quando l’attesa diventava lunga e pesante (specie per chi aveva con sé bambini piccoli) a causa dei pochi varchi aperti sia per il prefiltraggio che ai tornelli di accesso allo stadio. Non si sarebbe potuto fare di più, visto anche il carattere festoso della partita e i fattori di rischio praticamente prossimi allo zero?.
Da operatori dell’informazione, poi, non abbiamo capito con quale criterio siano state assegnate e distribuite le postazioni in tribuna stampa e gli accessi in sala stampa. Alcune testate sono state autorizzate per diverse unità di operatori (anche eccessive, a nostro avviso, almeno a giudicare dal lavoro prodotto sulla partita). Altre (e tra esse quelle umbre, o molte umbre: ma anche qui il criterio discriminante non è dato capirlo) sono state solo spedite nella pomposamente cosiddetta “tribuna stampa aggiuntiva”. In realtà, si trattava di semplici posti tra il pubblico, neppure tutti vicini tra loro e prossimi alla tribuna stampa, senza un minimo di supporto per poter lavorare. Eppure siamo sicuri che nessuna di quelle testate, ciascuna rappresentata da giornalisti iscritti all’ordine (ma anche sotto questo profilo qualche eccezione si è registrata) aveva chiesto biglietti omaggio.
Alla fine, ciò che resterà e caratterizzerà la partita Italia-Lussemburgo, sarà il calore e la gioia del pubblico locale, in larghissima parte di provenienza locale, perugino e della provincia (l’indicatore più chiaro di questa provenienza è stata, ci pare, la partecipazione ai cori contro i cugini ternani). Un pubblico che ha riempito l’intero stadio, corretto dall’inizio alla fine, passionale, pronto a partecipare a tutte le azioni degli azzurri, a scaldarsi con ole ripetute anche quando il gioco in campo sembrava tutto meno che capace di suscitare entusiasmi e coinvolgimento emotivo. E, soprattutto, un pubblico capace di interpretare in maniera perfetta lo spirito festoso della partita, cantando l’inno di Mameli a squarciagola, lasciandosi coinvolgere nelle coreografie allestite per tingere di azzurro la platea, sottolineando con applausi le giocate singole e di squadra, le sostituzioni, le occasioni.
Perugia non è nuova a queste dimostrazioni. Qui era già successo un mese fa per la promozione del Grifo in serie B, e dunque il copione era collaudato. Ma stavolta non c’era la tensione di allora, e l’attesa è stata gioiosa, non spasmodica. Stavolta si è andati allo stadio con spirito leggero e animo volto solo alla festa. Quando si dice che il calcio deve tornare ad essere questo, evento per il pubblico e del pubblico, e non bivacco per procuratori, ballerine e lestofanti di ogni tipo, si pensa esattamente a qualcosa che è la copia di quello che si è visto a Perugia per Italia-Lussemburgo.
Il problema è, semmai, che a dirlo (ma a fini esclusivamente mediatici/propagandistici, e quindi guardandosi bene dal fare ciò che servirebbe per realizzarlo) sono molte delle cariatidi, che nei vari ruoli e livelli dirigono il calcio italico. Proprio quelli che sono riusciti a portarlo, malgrado le immense potenzialità del movimento, a livelli di mediocrità, di sgangheratezza e di corruzione, degni di nazioni che non hanno neppure lontanamente la nostra tradizione calcistica. Alcuni di questi esemplari dirigenti erano presenti anche ieri sera al Curi con contorno di corifei accondiscendenti. E questa è stata, a ben vedere, l’ombra più marcata della serata perugina. Non in grado, però, per fortuna, di offuscare la autentica e immensa vittoria di popolo del pubblico.
Daniele Orlandi – Agenzia Stampa Italia