(ASI) Termoli (CB) - Alcuni familiari delle vittime della Banda della Uno Bianca chiedono da più parti la riapertura del processo per accertare tutte le verità su questa vicenda criminale.
In merito, bisogna dire che esiste una verità giudiziaria che è quella che scaturisce dalle aule dei Tribunali, che non sempre coincide totalmente con quella storica e, infine, una verità morale che è indefinita perché legata alle sofferenze dell'animo di chi è stato vittima o ha cari vittime della Banda con ferite pressoché incurabili.
Per lo speciale giornalistico che stiamo portando avanti sulla vicenda della Banda della Uno Bianca, abbiamo intervistato il Dott.Giovanni Spinosa, autore dei libri "L'Italia della Uno Bianca" (Chiarelettere 2012) e "La Repubblica delle Stragi" (Salvatore Borsellino 2018), quarant’anni in magistratura, originario del Molise, esattamente di Termoli in Provincia di Campobasso, già Presidente dei Tribunali di Teramo e di Ancona, un passato come Pubblico Ministero che ha condotto, tra le altre, indagini sulla Banda della Uno Bianca e sulla cosiddetta Falange Armata.
- Lei parla nel suo libro sulla Uno Bianca della cosiddetta Falange Armata, di cosa si tratta e che collegamento ha con essa la Banda?
"La Falange Armata - ha spiegato Giovanni Spinosa - è una organizzazione eversiva che rivendica tutti i più importanti delitti avvenuti in Italia dall'11 aprile 1990, quando viene ammazzato Roberto Mormile, fino alle stragi di Via Palestro, San Giovanni in Laterano e San Giorgio a Velabro della notte fra il 27 e il 28 luglio 1994, che segnano il punto più grave dell'attacco alle istituzioni dello Stato da parte di Cosa Nostra. E, nell'ambito di queste rivendicazioni, la Falange Armata si attribuisce la paternità anche dei delitti della fase terroristica della Uno Bianca. Non è vero come molti pensano che la Falange Armate sia un gruppo di mitomani che si appropriano delle imprese altrui; ma, è stato accertato che, a partire dal delitto Mormile fino alle stragi di Stato, sono gli stessi autori dei delitti a promuovere la rivendicazione. Cosa Nostra, ad esempio, rivendica le stragi di Mafia utilizzando la sigla Falange Armata; perciò, non si può dire che con questa etichetta si rivendichino delitti altrui".
- L'attività della Banda della Uno Bianca si dividerebbe in tre fasi: ce ne parli brevemente....
"A grosse linee, - ha spiegato Giovanni Spinosa - c'è una prima fase che potremmo definire degli assalti alle Coop, la seconda fase è quella terroristica, mentre la terza è quella delle rapine in banca. La differenza fondamentale è che nella prima fase, quella degli assalti alle Coop, la Uno Bianca dimostra una grande capacità militare che in quel momento, possiamo dire chiaramente, i Savi non avevano. Infatti, a un certo punto, dicono di non essere gli autori degli assalti alle Coop, ma di essersi limitati ad affittare le armi ai Catanesi. La seconda fase è quella terroristica, dove non c'è nessun interesse per il bottino e si ammazza in maniera gratuita; in questa fase - ha continuato Spinosa – ci sono gli assalti ai campi nomadi, l'uccisione dei titolari dei distributori di benzina, la sparatoria contro i lavavetri. Successivamente, c'è la fase delle rapine in banca in cui c'è un effettivo perseguimento del lucro. La Falange Armata rivendica solo i delitti della fase terroristica e dopo l'ultimo delitto di questa fase, la Falange Armata dice che mette in disarmo il commando che ha agito in Emilia - Romagna. Mi permetto pertanto di dire - sostiene Giovanni Spinosa - che la Banda della Uno Bianca agiva su comando, in base agli ordini della Falange Armata che -mette in disarmo- il commando terroristico e la Uno bianca smette di agire in ottica terroristica".
- Perché nella storia criminale della Banda della Uno Bianca è molto importante una rapina a un casello autostradale?
"Non esiste una storia criminale dei Savi che si possa identificare con la Uno Bianca - sostiene Giovanni Spinosa - perché la Uno Bianca conosce tanti altri protagonisti. Affinché questo sia chiaro, possiamo parlare dell'assalto al casello autostradale di San Lazzaro del 30 agosto 1987, durante il quale i banditi della Uno Bianca compiono un delitto gratuito, sparando per la prima volta a un uomo, a un casellante disarmato. Quando in due interrogatori separati, in carceri distinti, si chiede a Fabio Savi una volta, e a Roberto Savi l'altra, la prima occasione in cui hanno sparato contro un uomo, loro parlano di un episodio del 3 ottobre 1987 in cui, tra gli altri, verrà gravemente ferito il funzionario del Commissariato di Polizia di Rimini Antonio Mosca che morirà due anni dopo. Il calendario li smentisce perché il ferimento del casellante del 30 agosto 1987 è ovviamente precedente. È impossibile che una persona dimentichi la prima volta in cui spara contro un uomo. La cosa veramente grave, è che entrambi non ricordino il momento in cui hanno commesso questo delitto che viceversa è sicuramente un delitto riconducibile alla Banda della Uno Bianca. Roberto e Fabio Savi non c'erano quando è stato commesso, però - ha sostenuto Giovanni Spinosa - c'erano le loro armi, c'era la Fiat Regata del terzo fratello Alberto. Loro sono da ritenersi, comunque, responsabili di questo delitto non in quanto autori materiali, ma in quanto fornitori delle armi e della macchina ad un'altra persona. Ma loro lo ignorano, hanno dato le armi, hanno dato la macchina, ma probabilmente ignorano cosa sia realmente successo. Il fattore più importante è che lo ignorano entrambi. Noi abbiamo, dunque, la prova provata - ha spiegato Spinosa - che loro non sanno quando si verifica questo episodio. Eppure, è la prima volta che avrebbero sparato contro un essere umano. Dimenticarlo è impossibile per una persona, se sono due persone a dimenticarlo vuol dire, senza ombra di dubbio, che c’è una storia completamente diversa da quella che hanno raccontato, a cominciare dall’inizio della storia stessa" sostiene Giovanni Spinosa.
- Secondo lei la Banda della Uno Bianca ha avuto, dunque, collegamenti con la criminalità organizzata, le Mafie e le organizzazioni terroristiche?
"Certamente, la Falange Armata è espressione di Mafie ed organizzazioni terroristiche che ne costituiscono la regia. C'è non solo la rivendicazione, ma anche la regia organizzativa della Falange Armata dietro a tutta una serie di delitti, a cominciare dall'omicidio Mormile, passando alle stragi di Mafia come la Strage di Via d'Amelio dove venne ammazzato il giudice Borsellino, la Strage di Capaci dove perse la vita il giudice Falcone, fino alle stragi in continente come l'attentato a Maurizio Costanzo, la Strage di Via dei Georgofili, dove persero la vita cinque persone. Ma, c’è anche l'omicidio dell'avvocato Fabrizi in Abruzzo, quest' ultimo rivendicato dalla Falange Armata in modo originalissimo, affermando che l'avvocato di Chieti non aveva voluto tenere conto di un avvertimento, ossia una aggressione alla sua convivente, di alcuni giorni prima. Nel momento in cui avviene il comunicato della Falange Armata, nessuno sapeva di questo avvertimento precedente, lo sapevano solo i diretti interessati, dimostrando che la Falange Armata è pienamente coinvolta nell'omicidio Fabrizi e lo rivendica. C'è, come dicono i pentiti, la volontà di rivendicare da parte di Cosa Nostra tramite la Falange Armata tutta una serie di delitti" ha dichiarato Giovanni Spinosa.
- Secondo lei le vicende legate all’omicidio dei Carabinieri Erriu e Stasi a Castelmaggiore ed i depistaggi collegati sono state tutte chiarite ?
"Siamo nell'aprile del 1988; è il periodo degli assalti alle Coop, e il Brigadiere Macauda dissemina delle prove che incastrano una famiglia di persone totalmente innocenti. All'epoca ero pubblico ministero, smaschero il depistaggio e faccio condannare il Brigadiere al massimo della pena prevista per il reato di calunnia, - ha raccontato Spinosa - perché all'epoca non c'era ancora il reato di depistaggio vero e proprio, introdotto solo recentemente nell'ordinamento giudiziario. Le vere ragioni del depistaggio del Brigadiere Macauda - ha dichiarato Giovanni Spinosa - non si conoscono neanche oggi a distanza di tutti questi anni. Noi non sappiamo perché il Brigadiere Macauda depista, ma sappiamo che i fratelli Savi non sanno nulla di lui e del suo depistaggio. Ma, se i fratelli Savi sostengono di aver fatto tutto da soli, non possono non sapere nulla di Macauda. Si dimostra, come avvalorato dalle successive confidenze in carcere a dei compagni di cella, che i fratelli Savi sono l'ultima ruota del carro e agiscono perché prendono ordini. Nella macchina degli assassini di Erriu e Stasi - ha raccontato Spinosa - c'è, oltre al bossolo esploso da Macauda per depistare, anche un altro bossolo che appartiene a una pistola che i Savi non hanno mai posseduto; dunque, ha sparato una pistola che non è mai passata nelle mani dei fratelli Savi oppure, comunque sia, non appartiene al loro armamentario. I fratelli Savi se fossero stati gli autori materiali del delitto dovrebbero sapere a chi appartiene questa pistola, ma loro non lo sanno. Loro sono in ogni caso responsabili del duplice omicidio perché procurano la macchina che utilizzano le persone che sparano e una delle due pistole utilizzate dagli assassini, ma, se non sanno di chi fosse l’altra pistola, vuol dire che c'era una persona che non conoscono o che non vogliono dire. Quindi, potrebbe essere che loro non fossero fisicamente presenti, ma ciò non alleggerisce la loro posizione, perché fornire gli strumenti per uccidere è anche forse più grave del premere materialmente il grilletto" spiega Giovanni Spinosa.
- Le indagini sull’omicidio di Primo Zecchi consentirono di rilevare alcuni capelli tra le mani della vittima. L’analisi del DNA consentì di appurare che non appartenevano a nessuno delle persone arrestate. Lei pensa che alcuni complici e mandanti siano sfuggiti alla cattura? Secondo lei, i Savi e i loro noti collaboratori, quindi, non sono stati gli unici artefici di tutte le azioni criminali della Banda della Uno Bianca?
"Oltre all'esame del DNA del capello - ha affermato Spinosa - ci sono altri fattori che non quadrano nella ricostruzione ufficiale dell'omicidio di Primo Zecchi. Gli assassini di Primo Zecchi poco prima avevano fatto un'altra rapina e questo i fratelli Savi non lo sanno. Ma, chiarisco meglio, non è che ci sono altri componenti della Banda della Uno Bianca che non sono stati scoperti, ma molto di più, è che i fratelli Savi evidentemente hanno concordato prima le loro dichiarazioni. Noi sappiamo che i fratelli Savi non erano sul luogo dell'omicidio o per lo meno non sono stati loro a sparare a Primo Zecchi. Se loro concordano e si autoaccusano di questa vicenda, affermando che è stato Fabio Savi a sparare a Primo Zecchi, vuol dire che rilasciano dichiarazioni concordate per salvaguardare altre persone. Tutto ciò riporta la Banda della Uno Bianca in un fenomeno di eversione criminale che ha attanagliato l'Italia, ossia del colpo di maglio che ha disintegrato la Prima Repubblica stretta fra Tangentopoli e la traiettoria eversiva che porta alle stragi di Mafia e che passa anche per la Uno Bianca. Non stiamo parlando - ha dichiarato Giovanni Spinosa – solo di un omicidio efferato per cui i colpevoli meritano l'ergastolo, ma molto di più, di un vero e proprio attacco agli ordinamenti dello Stato condotto con decine di omicidi e anche stragi mafiose".
- La Corte di Assise di Bologna ha assolto sia i Catanesi per le rapine alla Coop, sia Medda e i Sant'Agata per la Strage del Pilastro..... Ambedue i processi, sia quello sulle rapine alle Coop, sia quello sulla strage del Pilastro, ruotavano intorno a due figure femminili.... Che idea si è fatto di questa vicenda a distanza di tutti questi anni?
"Gli elementi a suffragio di queste donne sono molto forti. Vorrei fare presente che per le Coop quasi tutti i Catanesi accusati dalla pentita che avrebbe deviato le indagini, sono stati poi successivamente condannati con sentenza passata in giudicato per molti altri delitti denunciati dalla donna che li accusava. Sui "Pilastrini" possiamo dire che la Corte di Assise di primo grado, quella che sente la ragazza, la "Pilastrina" che li accusa, ha detto che la ragazza dice la verità, solo che si è sbagliata su chi ha materialmente sparato a causa della proiezione delle fiamme dell’arma. Viceversa, la Corte in secondo grado dirà che la ragazza non ha detto la verità. Quindi, la discussione sulla verità storica, al di là della verità giudiziaria che appartiene all'ultimo grado del processo, è piuttosto controversa. Aggiungo che le due donne non sono mai state rinviate a giudizio per le presunte calunnie, la prescrizione è arrivata dieci anni dopo l'arresto dei Savi, dunque c'era tutto il tempo, se le prove fossero state così evidenti, di istruire il processo" ha spiegato Giovanni Spinosa.
- In una recente lettera Fabio Savi afferma che grazie alle loro confessioni, sono stati scagionate numerose persone che, altrimenti, sarebbero state condannate al posto loro. Lei pensa che Fabio Savi sia sincero quando fa queste affermazioni? Che idea si è fatto?
"Certamente, credo che Fabio Savi, per una unica e eccezionale volta, sia assolutamente sincero. Il primo a dirlo, comunque sia, non è Fabio Savi, ma Alberto Savi che quando nel giugno 1995 vennero giudicati e assolti i "Pilastrini" è contento e quando i compagni di cella gli fanno notare che, con l’assoluzione dei “Pilastrini”, si sarebbe appesantita la situazione sua e dei suoi fratelli, Alberto afferma che era loro interesse fare assolvere queste persone".
- L’uccisione della titolare dell’armeria Volturno e del suo aiutante, un ex Carabiniere, avvenne in pieno centro di Bologna, nella circostanza i killer asportarono due pistole Beretta. Due degli identikit mostrarono una somiglianza con Roberto Savi che non venne riscontrata con Fabio Savi. Cosa pensa di questo duplice omicidio?
"Di identikit ce ne sono due, uno della persona dentro l'armeria e uno della persona fuori dell'armeria. Le loro immagini dimostrano che, se all'esterno dell'armeria c'è sicuramente Roberto Savi, altrettanto sicuramente all'interno dell'armeria di Via Volturno non c'è Fabio Savi. Aggiungo che una persona di Bologna sente il killer all’interno dell’armeria parlare e esclude che avesse il forte accento romagnolo di Fabio Savi, un accento facilmente riconoscibile, specie per un bolognese".
- Sempre nel 1991 a Rimini ci fu un altro agguato ad una pattuglia dei Carabinieri a Marebello di Miramare che miracolosamente riuscirono a mettersi in salvo, venne ipotizzato anche che quell’agguato sarebbe servito a depistare le indagini sull'eccidio del Pilastro. Che idea si è fatto in merito?
"Per comprendere l'attentato ai tre Carabinieri a Marebello di Miramare, Tocci, Madonna e De Nittis, bisogna leggere questo episodio insieme con l'eccidio dell'armeria di Via Volturno, perché dal 30 aprile al 2 maggio 1991 ci sono solo due giornate “feriali” consecutive, non considerando il 1° maggio. Le ragioni del collegamento fra i due delitti lo spiega in un comunicato la Falange Armata che parla di "Eliminare le smagliature all'interno dell'organizzazione" In quel momento - chiarisce Giovanni Spinosa - sta iniziando un nuovo periodo della Falange Armata, ma prima di iniziarlo, come dice, vuole eliminare le smagliature. L'attentato a Mirabello di Miramare - secondo Giovanni Spinosa - si collega strettamente con l’eccidio dell'armeria non solo per la contiguità cronologica, ma anche perché c’è alla base una unica risoluzione strategica, dettata da un comunicato del 28 aprile e, quindi, la necessità di eliminare gli errori del passato, fra cui, come la Falange Armata dice in un comunicato del 9 gennaio 1991, bisogna includere anche l'eccidio del Pilastro che, in quella occasione, è qualificato come un errore".
- Recentemente Eva Mikula, la compagna di Fabio Savi, nel suo libro “ Vuoto a Perdere”e ribadito nel corso di una mia intervista, ha dichiarato che i Savi vennero arrestati grazie alle segnalazioni di un giornalista Ungherese al quale aveva chiesto aiuto. La donna afferma con forza che la verità sulle modalità dell'arresto dei Savi sia un po' diversa da quella che ufficialmente ė stata raccontata, che ne pensa?
"Non conosco il libro della Mikula. Sulla modalità degli arresti dei Savi - ha detto Giovanni Spinosa - sono state scritte tante cose. Io le dico il mio parere: io non penso che i poliziotti che hanno individuato Fabio Savi abbiano mentito, io penso che i poliziotti siano persone oneste e siano stati adescati. C'è una macchina (una Fiat Tipo Bianca) che passa ripetutamente sotto ai loro occhi; è un'auto che non c'entra nulla con Fabio Savi, ma non si sa come e perché ne ritrovano una simile proprio sotto casa di Fabio Savi che viene, così individuato in un modo completamente casuale, assurdo, come dice la Corte di Assise di Rimini per una serie di circostanze irripetibili e del tutto fortuite".
- La Mikula dichiara che la notte di quel novembre 1994, quando venne arrestata insieme a Fabio Savi, e rivelò chi erano veramente i fratelli Savi, tutti gli inquirenti rimasero sorpresi, tra di loro vi era anche Lei ?
"Si, certamente, ero presente anch'io".
- Secondo lei ci sono gli estremi per riaprire le indagini sulla Banda della Uno Bianca in base agli ultimi sviluppi della vicenda?
"Dipende di che sviluppi si parla. Certamente sì, se, come sviluppi, si pensa alla sentenza della Corte di Assise di Reggio Calabria sulla Falange Armata e, dunque, se esaminiamo la vicenda della Banda della Uno Bianca fuori dal suo presunto ristretto recinto, nell'ambito di una vicenda nazionale più ampia con una serie di delitti che i Falangisti chiamano di militarizzazione del territorio, ovvero la capacità di essere presenti sul territorio ovunque, nell'ambito di una logica eversiva tipica di chi vuole sovvertire le istituzioni. Se abbiamo questa capacità bene, ma assolutamente no se dobbiamo continuare a parlare dei fratelli Savi e delle loro love story".
Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia
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