(ASI) Nella storia dell’umanità, infatti, almeno fino all’Illuminismo, le epidemie e le malattie in genere, vengono riferite ad una etiologia metafisica o, comunque, religiosa e imputate alla violazione di norme di condotta le quali, turbando l’ordine fisico, modificano il rapporto armonico tra il mondo visibile e quello invisibile o, il che è lo stesso, tra il mondo in cui si vive ed il mondo che vive in noi.
A conferma di ciò è sintomatico il fatto che, originariamente, la parola greca AITIA (da cui eziologia, eziologico etc. che significano “studio delle cause”) non ha il significato di “causa”, bensì quello di “colpa”: è la colpa che viene vista come responsabile dell’effetto, non la causa, la cui concezione più meccanicistica farà la sua apparizione solo nelle speculazioni dei primi filosofi della scuola di Mileto, nel VI secolo a.c.
Il genio poetico di Omero fu tra i primi a spingersi nell’indagine conoscitiva di questo dinamismo ermetico, andando a scrutare nel cuore umano, per scoprire l’intimo collegamento della pena con la colpa, interpretando con certezza religiosa il significato della prima epidemia della storia della letteratura, provocata tra le schiere dei Greci dalle saette del dio Apollo, invocato da Crise, suo sacerdote, in conseguenza del rapimento di Criseide, sua figlia, ordinato da Agamennone. “La colpa è questa -dice il profeta ad Achille che chiede le ragioni di tale flagello- nè pria ritrarrà del castigo la man grave, che si rimandi la fatal donzella”.
Quello che dei versi di Omero interessa ai nostri fini, è scoprire l’intimo rapporto che, nella cultura antica, lega l’evento dannoso alla colpa; la reazione del dio, nella sua concezione numinosa, all’azione ingiusta.
Una delle prime formulazioni di questo principio di colpa-causa lo troviamo nel frammento di Eraclito: “Il sole non oltrepassi il cammino che gli e stato prescritto; se lo farà le Erinni, le ancelle della Giustizia, lo scopriranno”. Sappiamo tutti quale ben misera sorte sia toccata all’imprudente Fetonte, per essersene discostato.
Nel I libro dell’Iliade, Agamennone, al fine di farne una concubina, ha trascinato con sé nella propria tenda la giovane Criseide, figlia di Crise sacerdote di Apollo. Questo vecchio padre,del tutto impotente a fronteggiare il re dei re di tutta la Grecia, dal quale è cacciato via in malo modo per aver osato chiedergli la restituzione della figlia, può solo invocare l’aiuto del dio Apollo, al culto del quale attende con fedeltà da una vita, per riavere la figlia:”Sì disse orando -scrive Omero-. L’udì Febo, e scese dalle cime dell’Olimpo in gran disdegno coll’arco su le spalle e la faretra tutta chiusa. Metteanle frecce orrendo sugli omeri all’irato un tintinnio, al mutar dei gran passi; ed ei simile a fosca notte giu venia. Piantossi delle navi al cospetto; indi uno strale libero dalla corsa ed un ronzio terribile mando l’arco d’argento; prima i giumenti e i veltri assalse, poi le schiere a ferir prese vibrando le mortifere punte; onde per tutto gli esanimi corpi ardean le pire. Nove giorni volar pd campo le divine quadrella”. al decimo giorno Achille, impaurito co+e gli altri, chiede al profeta Calcante il motivo e i rimedi di quel flagello.” La colpa e questa onde cotante ne die strette, ed altre l’arcier divino ne darà; ne pria ritrarrà del castigo la man grave, che si rimandi la fatal donzella non redenta né compra, al padre amato, e si spedisca un’ecatombe a Crisa, cosi forse avverrà che il dio si plachi”.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia
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