(ASI( “Non solo il brano di musica rap ma anche minacce e insulti, messaggi di odio. Questa volta il caso del giovane cingalese condannato a 20 anni per il femminicidio di Michelle Maria Causo, diciassettenne uccisa nel giugno 2023 e abbandonata in un carrello della spesa a Primavalle-Roma, ha superato ogni limite. Altro che oltraggio alla famiglia della giovanissima vittima.
E che fine ha fatto l’impegno del Governo a oscurare gli account social di condannati o indagati per reati gravi?”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale S.PP., per il quale “il ritrovamento quotidiano di telefonini negli istituti penitenziari e le quotidiane denunce e segnalazioni sull’uso dei social dal carcere non sono più tollerabili innanzitutto perché sono un segnale di impunità che stride contro l’impegno del personale penitenziario che continua a rischiare la propria incolumità nell’assicurare controllo e legalità”. Nel riferire che il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari ha annunciato un disegno di legge per impedire che i social vengano usati per esaltare atti criminali o offendere le vittime, Di Giacomo sottolinea che “il 2024 è stato l’anno di TikTok dal carcere. Tra i primi il “noto” videoclip del rap “Baby Gang” girato a San Vittore, seguito dalla performance dal carcere di Terni dei tre detenuti campani appartenenti ad un clan camorristico trasformati in cantanti neomelodici; il video girato a Poggioreale-Napoli con detenuti che mangiano un gelato e mostrano uno spinello; i video realizzati dal capo clan pugliese agli arresti domiciliari che con musica neomelodica di sottofondo, in compagnia di altre persone, ha ostentato ingenti quantitativi di denaro in contanti; i 163 video del detenuto-cuoco del solito carcere campano; a Pavia con spettacolo di canto e ballo; ancora a Terni, con il volto parzialmente coperto da sciarpe, tra cui un efferato assassino, cantano canzoni neomelodiche e fanno festa con una pizza appena sfornata; sino al recente filmato “virale” delle devastazioni nel carcere minorile di Torino in una delle tante rivolte degli ultimi mesi con l’annuncio “abbiamo preso le chiavi”. Ma ciò che più ci sconcerta – continua Di Giacomo – è che solo in queste occasioni i rappresentanti di Governo scoprono l’acqua calda e cioè che nelle carceri sono diffusi i telefonini anche quelli più moderni e tecnologicamente avanzati finiti persino nelle mani dei giovanissimi oltre che di boss, capo clan ed affiliati che hanno facile accesso ai social. Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito l’uccisione di una figlia, una violenza, una rapina che assiste allo spettacolo dell’aggressore per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e più che legittima rabbia che serpeggia. Ma attenzione: se per i giovanissimi è “tendenza”, come sostengono magistrati antimafia in trincea nella lotta alle mafie, l’uso dei social è invece dimostrazione di potere e contiene persino messaggi di comando inviati all’esterno”.



