Sanità, Nursing Up De Palma: Infermieri e ostetriche sempre più avanti con l’età. Il 56% ha oggi più di 55 anni. Aumentano quindi gli inabili al lavoro: corsie sempre più vuote. 

Sono circa 33mila gli infermieri che, rispetto ai quasi 280mila attivi nel nostro SSN, presentano patologie fisiche e psichiche che minano la loro continuità lavorativa. Nelle stesse condizioni si trovano circa 1200 ostetriche. 

(ASI) Roma - «Quali rischi reali corre la già precaria stabilità del nostro sistema sanitario e la qualità della salute collettiva , rispetto al graduale e inesorabile invecchiamento della “popolazione infermieristica”?

Il viaggio odierno nei delicati anfratti fin troppo nascosti della nostra realtà professionale riguarda infatti l’età media dei professionisti. Siamo di fronte ad un dato incontrovertibile da cui partiamo: il 56% del personale dell’assistenza ha oggi più di 55 anni. 

E’ il momento di riflessioni doverose (e di azioni concrete), più che mai indispensabili per denunciare ancora una volta agli occhi della collettività quanto accade in questo delicato momento storico, dove i nostri professionisti, da Nord a Sud, all’acme dei disagi e del malcontento, sono pronti a mobilitare legittime manifestazioni di protesta. 

Noi del Nursing Up scendiamo in campo per smuovere le coscienze della politica e promuovere, nel contempo, concreti cambiamenti nel modus operandi di aziende sanitarie che non tengono in alcun modo in considerazione le legittime istanze di chi, ogni giorno, naviga nelle acque agitate di disorganizzazione, turni massacranti e carenza di personale, che pesano sempre di più sulle spalle di chi “resta in prima linea” a combattere».

Così in una nota Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

Infermieri avanti con l’età e sempre piu’stanchi e malati, corsie degli ospedali sempre più vuote.

«Se è vero, e ribadirlo non è affatto retorica, che non può esistere futuro degno di tal nome senza l’auspicata valorizzazione dei professionisti dell’area non medica, siamo davanti a un quadro a tinte fosche, che emerge più che mai quando, in report come quello che vi presentiamo, andiamo a “scavare” nelle reali condizioni che infermieri e ostetriche vivono ogni giorno.

L’inesorabile invecchiamento della “popolazione dei pazienti”, il cui fabbisogno di cure aumenta e aumenterà in modo esponenziale, significa, infatti, anche, nel contempo, invecchiamento dei professionisti della salute, in primis gli infermieri. In fondo si tratta sempre di uomini e donne. E allora siamo di fronte ad una vera e propria piaga, sulla quale ci sentiamo doverosamente di offrire i contenuti e i numeri attraverso questa nostra nuova indagine.

Il sunto dei nostri report è agghiacciante; infermieri sempre più anziani e spesso costretti a rimanere a casa, con  corsie di conseguenza sempre più vuote (tra fughe all’estero, dimissioni, pensionamenti e carenza di personale sempre più grave) per una professione che sembra non avere più linfa vitale a cui attingere per ripartire. 

La sanità italiana “perde i pezzi”giorno dopo giorno, e i vuoti continuano a non essere colmati.

Chi rimpiazza i pensionamenti?

Criticità numero  1. Si parte dalla pericolosa lacuna del mancato ricambio generazionale: entro il 2024, ben 14mila infermieri raggiungeranno i requisiti per andare in pensione: ma dove sono gli indispensabili e tanto attesi ricambi che dovrebbero gioca forza fare il paio con un piano concreto di valorizzazione economico-contrattuale per arginare l’emorragia di personale?

Si pensi che ogni anno si laureano tra 10mila e 11mila infermieri, tolti quelli che scappano subito all’estero, quelli che si impiegano nel privato e quelli che scelgono la libera professione, ne restano circa 7 mila che, solo potenzialmente, potrebbero mettersi a disposizione del SSN. 

Ci si ritrova, quindi, con ben 7mila infermieri  in meno rispetto a coloro che lasciano il servizio. Ovviamente questi numeri si sommano alle svariate decine di migliaia di infermieri persi per strada negli anni precedenti.

La Sanità Italiana perde i pezzi.

Criticità numero 2. Sono 7mila gli infermieri fuggiti all’estero nell’ultimo triennio, lo dicono le agenzie specializzate. A questi si collega, ahimè, quel  10,5% di iscrizioni in meno ai test di infermieristica, e il triste dato che racconta che per la prima volta dal 2011, il numero di tale tipologia di laureati  è sceso sotto 10mila. 

Nel dettaglio, i laureati sono 11.436 sui 15.464 posti messi a bando, pari al 74%. Valore questo che è sceso dall’81% del 2013 al 69% del 2020 e al 67% del 2021. Tra le principali ragioni la difficoltà, nell’ultimo biennio, di assicurare il tirocinio per gli studenti e terminare così in tempo il percorso formativo. 

Infine, problema che non è meno grave, ecco un buon 44% di dimissioni volontarie dal SSN (numeri aggiornati al 2021) di professionisti sanitari, dei quali la maggior parte sono infermieri. 

Voragine senza fine.

Cosa significa tutto ciò che abbiamo scritto, a fronte di una realtà di un sistema sanitario sui cui grava già il peso delle carenze sopra citate, pericolosamente mai sanate, che anno per anno ha raggiunto la triste cifra di un totale di 175mila infermieri mancanti all’appello (nostri dati aggiornati al 2022) ?

Significa vivere in una sanità sempre più claudicante, con professionisti dell’assistenza avanti con l’età e quindi loro malgrado a mezzo servizio: sono, come si è detto, prima di tutto donne e uomini, questo significa che gli “acciacchi” , che di fatto sono un ulteriore gap da colmare, per Governo e Regioni devono diventare una responsabilità da non ignorare. 

La politica non solo non crea le condizioni per ridonare appeal alla professione infermieristica, così fomentando le fughe e le dimissioni, nonché il calo di laureati, ma cosa più grave, paradossalmente, “abbandona a se stessi” quelli che restano sul campo, ai quali viene data la responsabilità di reggere tutto il fardello sulle  proprie spalle.

Tanti infermieri malati restano a casa.

Eccola allora la percentuale che deve ulteriormente rappresentare un sonoro campanello di allarme: circa 33mila infermieri, rispetto ai quasi 280mila attivi nel nostro SSN, presentano patologie fisiche e psichiche che minano la loro continuità lavorativa.

Da una parte il problema è legato all’avanzare dell’età, dall’altro, come detto, la responsabilità è da attribuire alle aziende sanitarie, che lasciando i professionisti alla mercé dei disagi, favoriscono patologie sia fisiche legate ai turni massacranti e ai troppo spesso mancati riposi, sia sindromi stress correlate , come quella di  bournout. Un professionista su due nel nostro paese ne soffre, ben 125.500 infermieri ne sono affetti.

Coperta troppo corta

La coperta è pericolosamente corta: l’età che avanza, con gli orari e i ritmi di lavoro che diventano ingestibili per un sistema che fa acqua da tutte le parti, acuisce i malesseri. Risultato? Aumentano le assenze per malattia, ecco ciò che accade nelle realtà quotidiana dei nostri ospedali. Siamo di fronte ad assenze legate a patologie fisiche, momentanee o addirittura croniche, a cui si aggiungono malesseri psichici di non poco conto.

Chi difenderà la salute dei nostri malati?

E allora chi resta davvero “in trincea” a difendere i malati? Pochi, troppo pochi rispetto al crescente fabbisogno della popolazione, sono quelli che lavorano nelle corsie. E tutto questo a discapito della qualità delle prestazioni sanitarie.

Ma vi è di più, perchè entro tre anni, questo vuole la prassi ormai consolidata, perderemo un ulteriore 30% di infermieri, perché ci sarà un buon 30% di studenti che si perderanno prima di giungere alla laurea, e perchè ci sono sempre più giovani che fuggono all’estero.

Quali soluzioni per evitare il tracollo?

Di fronte a quale drammatica evidenza dobbiamo arrenderci? Ovvero corriamo il rischio che la professione infermieristica italiana subisca il destino di un tracollo lento e implacabile, con i nostri professionisti dell’assistenza rimpiazzati da personale straniero, con discutibili competenze e capacità comunicative,  oppure peggio ancora da figure surrogate, adattate in fretta e furia per tappare i buchi.

E’ davvero questo quello che ci attende, ciò che attende noi e le nostre famiglie, da potenziali malati quali tutti siamo destinati a essere, prima o poi, nel nostro percorso di vita? Non possiamo davvero permetterlo», chiosa De Palma.

 

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