(ASI) Roma – Il recente provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali è senza precedenti ed è destinato a modificare l’approccio del nostro paese nei confronti dell’intelligenza artificiale.
Il 30 marzo l’autorità amministrativa incaricata di tutelare i diritti, le libertà fondamentali, il rispetto della dignità nel trattamento dei dati personali dei cittadini ha sospeso temporaneamente, “in via d’urgenza” e “con effetto immediato” il funzionamento di ChatGPT in Italia.
Non si tratta di un servizio digitale qualsiasi, ma del più celebre programma di intelligenza artificiale capace di relazionarsi in maniera fluente e piuttosto naturale con gli utenti di Internet. ChatGPT è in grado di simulare conversazioni umane ed eseguire fulmineamente una vasta gamma di operazioni, dalla risoluzione di problemi matematici fino alla scrittura di un tema o una tesi di laurea. A inizio anno Microsoft ha voluto integrarlo nel proprio motore di ricerca Bing, nell’intento di farne un assistente digitale a tutto tondo, impegnato ad aiutare gli utenti nella navigazione quotidiana sul web. È possibile, inoltre, sottoscrivere un abbonamento mensile direttamente sul sito del servizio per poter usufruire di benefici aggiuntivi e operazioni ancor più personalizzate.
Un programma altamente evoluto, dunque, la cui diffusione a livello mondiale è impressionante. Secondo un’analisi dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, nel 2022 ChatGPT ha raggiunto il milione di utenti attivi in soli cinque giorni. Cifre da capogiro se si considera che, per arrivare allo stesso traguardo, social network come Facebook, Instagram, Twitter o servizi popolari di intrattenimento come Netflix ci hanno messo in media dai due mesi ai tre anni e mezzo.
Tuttavia, a quanto pare, sono ancora numerosi i lati oscuri che hanno spinto il Garante a mobilitarsi urgentemente. L’autorità ha rilevato, innanzitutto, come non venga fornita alcuna informativa in relazione alle modalità con cui i dati personali degli utenti vengono usati per “addestrare” l’intelligenza della piattaforma. Non è possibile comprendere, cioè, quante e quali informazioni personali degli utenti vengano impiegate per arricchire e migliorare continuamente il servizio.
Stando al Garante, quindi, ChatGPT raccoglierebbe e conserverebbe una quantità “massiccia” di dati “in assenza di un’apposita base giuridica”. Lo farebbe, peraltro, in modo erroneo dal momento che più di una volta durante le conversazioni l’algoritmo ha fornito alle domande dei curiosi risposte clamorosamente sbagliate. “Il trattamento di dati personali degli interessati risulta inesatto in quanto le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale” ha spiegato l’autorità.
Nel mirino c’è poi la potenzialmente pericolosa pratica della società di non accertare l’età effettiva degli utenti. Il servizio, in teoria, è riservato ai maggiori di tredici anni, ma al momento non esiste alcun sistema informatico di verifica. Ne consegue che anche i bambini potrebbero riuscire a conversare con ChatGPT, venendo esposti a contenuti dannosi per la loro tenera età e a risposte “assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza”.
Il Garante, in aggiunta, ha espresso preoccupazione per l’effettivo grado di protezione delle informazioni personali accumulate e conservate dalla società. Lo scorso 20 marzo, spiega l’autorità, “ChatGPT ha subito una perdita di dati riguardanti le conversazioni degli utenti e le informazioni relative al pagamento degli abbonati”.
Questi i timori all’origine dell’inedita misura di sospensione provvisoria. OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e che gestisce ChatGPT, ha ora venti giorni di tempo per confrontarsi con il Garante risolvere tutte le criticità riscontrate. In caso contrario, rischia una sanzione pari a ben venti milioni di euro.
La società non ha inaugurato alcuna sede legale nell’Unione europea, ma si è limitata a designare un rappresentante in Irlanda. In risposta al provvedimento, ha deliberato di disabilitare momentaneamente il programma in Italia e di rimborsare chi ha sottoscritto un abbonamento a pagamento nel mese di marzo.
OpenAI ha voluto difendere il proprio operato in un comunicato, affermando: “Riteniamo di offrire ChatGPT in conformità con il regolamento europeo sulla protezione dei dati e ci impegneremo con il Garante con l'obiettivo di ripristinarlo il prima possibile”. Un funzionario ha ribadito alla rivista “Wired” l’intenzione di riattivare in tempi celeri il servizio nel nostro paese, aprendo a un confronto con il Garante.
Il medesimo funzionario, comunque, ha ammesso come il programma si serva dei dati personali degli utenti per migliorare l’algoritmo di intelligenza artificiale al cuore di ChatGPT. Non ha aggiunto nulla in merito, tuttavia ha fatto sapere che OpenAI è al lavoro per ridurre la quantità di dati personali necessari all’esercizio della piattaforma.
L’inedito provvedimento del Garante, frattanto, ha avuto l’effetto di innescare un vivace dibattito tra i fautori dello sviluppo tecnologico e i sostenitori della riservatezza di coloro che navigano su Internet e usufruiscono dei servizi digitali. Nella partita anche il mondo dell’industria ricopre un ruolo fondamentale, dal momento che sempre più imprese si affidano all’intelligenza artificiale per offrire ai clienti servizi personalizzati.
Staremo a vedere quali risvolti assumerà la vicenda. La soluzione più ragionevole, in ogni caso, appare quella di trovare un compromesso ragionevole fra avanzamento tecnologico e sicurezza personale.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia