(ASI) Raccontavo, qualche mese fa, prima delle elezioni del presidente della Repubblica, come sarebbe stata (impossibile) la permanenza di Mario Draghi a palazzo Chigi se non fosse stato eletto capo dello Stato.
E perché non avrebbe accettato di guidare, ancora per un anno, il governosenza Sergio Mattarella al Quirinale. “O al Quirinale o a Città della Pieve” era il titolo di quell’articolo. Poi, com’è noto, c’è stata la riconferma di Mattarella e, di conseguenza, anche quella di Draghi. Ma è abbastanza evidente che non si sia trattatodi dare continuità a quello che c’era prima, perché ci sono stati due fatti, clamorosi e traumatici, chenon potranno non avere delle conseguenze. Le mezzecalzette hanno avuto l’abilità di screditare entrambi, sia Draghi che Mattarella, con due sgarbi sguaiati e sciagurati.
Al primo hanno negato, con la scusa che la sua presenza alla guida del governo fosse irrinunciabile (Giuseppe Conte e Silvio Berlusconi su tutti), l’elezione al Colle, cui teneva moltissimo. Per Mattarella, l’idea di riconferma è venuta non per infinita stima nei confronti del presidente della Repubblica uscente, cosa che si poteva pensare se fosse stato votato il primo giorno e al primo scrutinio, ma solo perché i cosiddetti leader, non hanno saputo trovare di meglio dopo sette giorni di grottesche e patetiche trattative. Ne è venuto fuori un quadro istituzionale sfregiato. E la rissa che sta avvenendo in queste ore, con tutti in fibrillazione, è perché i leader ormai hanno perso la totale credibilità dei cittadini. E, ora, per ottenere i voti, devono affidarsi solo alla riconoscenzadelle varie categorie, per i pagamenti elargiti, detti bonus. Finora sono stati una quindicina. Ora, c’è in arrivo pure quello per lo psicologo. Una specie di squallido voto di scambio.
E, allora, bonus per tutti. Soldi a pioggia senza alcun senso di responsabilità e senza ritegno. Con sforamento del bilancio, che poi vuol dire aumento di debiti. Mario Draghi tenta di arginare questa corsa sfrenata, ma la maggioranza,imposta dall’emergenza, è sempre più precaria, fragile e contradditoria. Il premier, dopo che il governo è andato sotto quattro volte, è “irritato” (forse, qualcosa di più) e, rivolto ai partiti, è stato molto chiaro. “Fatemi sapere cosa intendete fare, perché, se il governo non produce, non ha senso che vada avanti”. E di questo ha informato, nel corso di un colloquio, il capo dello Stato. Una sola cosa è certa: se continua così Mario Draghi lascerà, prima o poi, (più prima che poi) il suo incarico, con la conseguente crisi che potrebbe avere sbocchi assai gravi e preoccupanti. Non solo le elezioni anticipate, ma anche problemi seri per l’economia e il Pnrr. Ma le mezzecalzette non hanno il senso dello Stato, pensano solo a come trovare i voti e si arrampicano, in maniera ignominiosa, sui bisogni dei cittadini. Uno spettacolo indecente.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia