(ASI) È rimasta patetica, beffarda e sgualcita dalla Caporetto elettorale, la foto da gita scolastica, fatta a Narni, alla vigilia delle regionali in Umbria, dai rappresentanti delle forze politiche che sostengono il Governo.

Con il “capoclasse” Giuseppe Conte c’era Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio, Roberto Speranza ed il candidato del “patto civico”, politico per caso, Vincenzo Bianconi. Mancava solo l’astuto “pierino”, assente (in)giustificato, Matteo Renzi. Sorridevano tutti a poche ore dalla sconfitta più pesante che la Sinistra abbia mai avuto forse non solo in Umbria. Fino a qualche anno fa se qualcuno avesse detto che, in Umbria, la Sinistra avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di altri partiti per (cercare di) vincere le elezioni avrebbero chiamato gli infermieri del manicomio.

Prima, a controllare tutto, era il Pci, poi, con le trasformazioni, Pds, Ds, fino al Pd. Presenza e poteri ingombranti, con troppe arroganze, intollerabili prepotenze, tra tanti, imbarazzanti silenzi. Quante volte ho raccontato questa situazione. Prima, per 15 anni, su Il Tempo e poi, per un lustro, sulle colonne del Corriere dell’Umbria, e fino a quando… me lo hanno consentito. Il giornalismo da “cane da guardia”, come con molta retorica si suole ripetere, spesso è ridotto a gatto siamese, a fare le fusa, indecorose e indecenti, tra le braccia del potente di turno. Ci sono voluti i nove anni, pessimi, della presidenza alla Regione di Catiuscia Marini per capire che era necessario cambiare. E così sono caduti prima i comuni: da Perugia a Terni, a Spoleto, Foligno, Orvieto, Montefalco, Todi, quest’ultimo “consegnato” al centrodestra proprio dalla Marini, dopo aver fatto (male) il sindaco. L’autolesionismo dei dem, come si vede, non conosce limiti.  Ed ora, dopo lo scandalo nella sanità, dopo cinquant’anni, anche la Regione. Donatella Tesei, la candidata della Lega, di Fdi e di Fi, ha stravinto (57,55% contro 37,48%) come peraltro, avevano anticipato i sondaggi. Grave smacco per il Pd, dunque, cui non è servita la scelta del cireneo Bianconi e nemmeno l’aiutino (mancato anche questo) dei 5 Stelle con l’inedito accordo Pd - Movimento 5 Stelle, inventato da Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, il quale, con l’alleanza umbra, ha imboccato una strada assai pericolosa, con ripercussioni che possono essere devastanti. L’ho già scritto da qualche settimana.

Se la decisione di fare il governo Conte II, con il Pd e Leu, per i 5 Stelle poteva essere giustificata, e spiegata agli elettori grillini, con il fatto che andare subito alle urne, dopo la crisi provocata improvvisamente, in pieno agosto, senza nemmeno una comprensibile spiegazione, da Matteo Salvini, poteva provocare un danno grave per le incertezze sulla manovra di bilancio, la scelta dell’accordo con il Pd in Umbria è sembrata da subito una decisione avventata e incomprensibile e ora dopo i risultati che hanno visto il dimezzamento dei voti (solo il 7,41%, rispetto al 14,30 % del 2015) addirittura devastante. Un accordo pasticciato ed estemporaneo con tanti rischi e nessun vantaggio politico. E’ gravissimo che Luigi Di Maio non abbia capito che i dem erano politicamente distrutti, naufraghi smarriti, che cercavano disperatamente di aggrapparsi ad una ciambella per salvarsi. Non solo non si sono salvati ma hanno fatto colare a picco anche gli alleati 5 Stelle che non avendo quello zoccolo duro che ha la Sinistra ha dimezzato i consensi   Aiutarli sarebbe stata comunque una mossa politica più che sbagliata, assurda. C’è chi dice che non ci saranno conseguenze e invece non sarà così. E’ inutile che Conte e Di Maio cerchino di scacciare i fantasmi, minimizzando l’accaduto, dicendo che le elezioni regionali non contano. Ed è inutile anche che qualche giornalista scriva che non bisogna trovare la scusa dell’Umbria per dare fiato ed argomenti a chi, tra i 5 Stelle, si lamenta e contesta solo perché ha perso la poltrona. Ci saranno, è possibile, anche quelli che lo fanno per interessi strettamente personali, ma le cose sono più gravi.

E non stanno in questi termini. Qui c’è in ballo la leadership del Movimento e la sua stessa ragione di esistere. Perché i 5 Stelle hanno preso una valanga di voti alle ultime elezioni politiche, il 4 marzo 2018 ? Soprattutto per una ragione: per cambiare. Possono accettare, coloro che hanno votato 5 Stelle, che in Umbria si sia voluto aiutare un Pd in ginocchio, fallimentare nella gestione della regione, con presidente e assessore indagati, che, nonostante tutto, ha avuto anche l’arroganza di rimettere in lista 2/3 di coloro che hanno già governato? Così è più logico e naturale votare direttamente Pd.

A che serve, perché votare 5 Stelle? Ma non è finita. La questione umbra va inserita in un contesto più ampio e riguarda la manovra di bilancio del governo appena approvata. Nella quale emergono, evidenti e macroscopici, le contraddizioni: le imposte e le tasse si pagano subito, e sono nettamente superiori alle agevolazioni miserabili che ci saranno, forse, l’anno prossimo. La lotta all’evasione è solo teorica, la prescrizione è incerta e comunque entrerà in vigore (se entrerà) nel 2024. Si ripropone, allora, la stessa domanda. Aumentare i tributi, raccontare balle sulla lotta all’evasione e su tanti altri temi, avevano già dimostrato di saperlo fare, e anche piuttosto bene, i precedenti governi, non c’era bisogno dell’aiuto di Di Maio e dei 5 Stelle? Così il Movimento 5 Stelle è inutile, non serve, è una copia del Pd, venuta anche male. Ecco allora che i dissidenti, approfittando di queste scelte, incongruenti e incomprensibili, oltre che impopolari, potrebbero decidere di costituire nuovi gruppi parlamentari, che potrebbero sfociare in un nuovo movimento o partito. E, con un numero consistente, avrebbero in mano anche un’insidiosa e potente golden share sul governo Conte e la maggioranza che lo sostiene.

Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia

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