Abruzzo. Il sindaco di Penne vieta la caccia tra la città e l’Oasi. Il WWF: «I fucili sono del tutto incompatibili con la fruizione della natura»

 

Si parla tanto dei danni da fauna selvatica, ma sono assai più gravi quelli provocati dai cacciatori. Nel solo periodo delle pre-aperture il bilancio, tra morti e feriti, è quello di una guerra. La caccia al cinghiale aumenta i problemi anziché risolverli. Spari a Lanciano a pochi metri dal canile

(ASI) Abruzzo - Con ordinanza n. 144/2018 il sindaco di Penne Mario Semproni ha disposto il divieto di caccia sino al 31 dicembre lungo il sentiero “Serafino Razzi”, che da Fonte Nuova arriva sino alle Pinetina, collegando di fatto il centro urbano con la Riserva naturale regionale e Oasi WWF “Lago di Penne”. Lungo il sentiero sono attualmente in corso lavori di ripristino e manutenzione della linea fognaria mentre da lunedì 22 prossimo il percorso entrerà a far parte della nuova rete sentieristica della Riserva.

Il provvedimento del sindaco è volto a scongiurare incidenti, oggi a tutela degli operai dell’ACA e da lunedì in avanti per salvaguardare i numerosi cittadini, a cominciare dai giovani e in particolare dagli studenti, che percorreranno quel sentiero.

«Quella del sindaco Semproni è una scelta saggia e lungimirante – commenta il vicepresidente del WWF Italia Dante Caserta – che contrasta con la assurda politica filo-venatoria di molti assessorati regionali alla caccia, compreso quello abruzzese, che troppo spesso continuano a far prevalere gli interessi della piccola minoranza dei cacciatori a quelli della stragrande maggioranza dei cittadini che vorrebbero potersi godere tutto l’anno le passeggiate in natura senza rischiare di finire impallinati».

Una preoccupazione, quella dei rischi legati all’attività venatoria, tutt’altro che infondata. Nel solo mese di settembre, per le cosiddette “preaperture”, ci sono stati in Italia 4 morti e 13 feriti causati da armi da caccia, tra i quali 2 morti e 5 feriti non cacciatori. Numeri impressionanti ma perfettamente in linea con l’andamento generale di una pratica (ci rifiutiamo di definirla uno “sport”) dannosa per l’ambiente, per gli animali e per l’uomo. Nella stagione venatoria 2017-2018 (circa 5 mesi) i morti furono ad esempio 30 (20 cacciatori e 10 “civili”) e i feriti 84 (60 tra i cacciatori). Non a caso la meritoria Associazione vittime della caccia, che da anni porta il conto, intitola i suoi report periodici “Bollettino della guerra”.

Secondo il WWF il fatto che ci siano tante persone coinvolte anche tra i non cacciatori è la dimostrazione evidente del fatto che la presenza nel territorio per cinque mesi l’anno di un vero e proprio “esercito armato” non è più compatibile con il pacifico godimento della natura da parte di famiglie, escursionisti, birdwatchers. I fatti di cronaca lo dimostrano ampiamente, a cominciare dal caso del 19enne colpito all’addome in Liguria da un proiettile da cinghiale. Una vicenda terribile, ma non certo l’unica: a Cesena un ragazzino di 8 anni è stato raggiunto da pallini alla schiena mentre era nel cortile di casa; a Rimini un uomo è stato ferito al volto mentre percorreva una pista ciclabile lungo un fiume; a Faenza sono stati colpiti 3 raccoglitori di kiwi; a Sesto Fiorentino i pallini sono giunti sul tavolo di un ristorante mentre una famigliola era a tavola… In Abruzzo sinora ci è andata bene, ma è soltanto una questione di fortuna.

Il WWF Italia ha recentemente scritto ai ministri competenti sottolineando la gravità del problema e la necessità di intervenire con una serie di misure. Gli incidenti di caccia non sono frutto di fatalità e soprattutto non sono inevitabili: spesso sono causati da una aperta violazione della Legge quadro nazionale (Legge n.157/1992) e di quelle regionali di settore. Ad esempio il mancato rispetto delle distanze minime da strade e centri abitati: è di qualche giorno fa l’episodio di spari a poche decine di metri dal canile di Lanciano (CH) dov’erano presenti volontari e visitatori, compresi bambini! Non solo: c’è una diffusa tendenza a premere il grilleto senza inquadrare il “bersaglio”; la cattiva abitudine di accompagnare le battute di caccia, soprattutto quella al cinghiale, con colazioni spesso comprensive di vino e altri alcolici. A tutti questi fattori negativi si aggiunge l’elevata età media dei possessori di licenza di caccia. È inoltre gravissimo il fatto che alla licenza si accompagni la possibilità di detenere un numero illimitato di fucili, 3 armi comuni da sparo (quindi anche pistole) e 6 armi per uso sportivo, più 1.000 (MILLE!) cartucce: un vero e proprio arsenale! Tra l’altro il WWF fa notare che spesso con fucili da caccia regolarmente registrati sono stati commessi omicidi, anche familiari. Questo aspetto, unito al problema dell’uso di alcol, fa sorgere legittimi dubbi sull’accuratezza delle verifiche psicologiche cui vengono sottoposti i cacciatori, prima di consegnare loro armi estremamente pericolose. Alla luce di queste osservazioni, il WWF Italia ha proposto alcune misure preventive da mettere in atto il prima possibile per evitare che il numero di vittime innocenti continui ad aumentare. Tra queste: incrementare l’attività di vigilanza, anche facilitando la nomina e l’azione di nuove guardie volontarie venatorie; rendere molto più severi gli esami per la licenza di caccia; limitare l’uso di armi a canna rigata, in grado di sparare a ben 4 km di distanza; effettuare maggiori controlli sulle licenze, vietando nel contempo l’assunzione e la detenzione di sostanze alcoliche. Ma soprattutto il WWF chiede il divieto assoluto di caccia nei giorni festivi e in particolare nelle aree altamente frequentate da sportivi ed escursionisti. Non è tollerabile che chi vuole fare una passeggiata in natura debba avere a che fare con persone armate che seminano piombo per le campagne. Oggi l’ambiente è molto più frequentato rispetto a 30 anni fa e il suo utilizzo ricreativo è incompatibile con l’azione venatoria. Questo vale anche e soprattutto in Abruzzo nel cui brand turistico la natura e il suo godimento sono in primissimo piano. Cicloturismo, escursioni, gite… nelle aree protette e in tutto il resto del territorio non possono diventare attività a rischio solo perché per 5 mesi l’anno una piccola minoranza di cacciatori vuole divertirsi sparando e uccidendo animali inermi.

“La caccia - conclude il delegato Abruzzo del WWF Luciano Di Tizio - non ha giustificazione alcuna se non la gratificazione di chi la pratica. Persino il tanto decantato contrasto dei cacciatori e dei cosiddetti selettori alla proliferazione dei cinghiali è un concetto fuorviante: ci sono studi scientifici che dimostrano come affrontare il problema (creato dagli stessi cacciatori con i ripopolamenti) con i fucili sia deleterio: sparando si determina un aumento della fertilità e la destrutturazione dei branchi con il risultato, opposto alle attese, di far aumentare sia il numero dei cinghiali che i danni alle coltivazioni e al traffico. Eppure si va avanti con colpevole tenacia e con il beneplacito di una classe politica che anziché studiare i problemi e cercare davvero di risolverli punta solo su azioni di facciata, alla ricerca di facili consensi elettorali”.

 

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WWF Italia Onlus, Abruzzo

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