(ASI) I lavoratori hanno detto no. Questo l'esito del referendum interno che si è svolto in sette seggi allestiti a Fiumicino, Malpensa e Linate dal 20 al 24 aprile. Sulle sorti di Alitalia, la compagnia di bandiera sui voli di linea, il 67,5% dei dipendenti ha preferito il commissariamento al piano di risanamento del preaccordo tra azienda e sindacati siglato il 14 aprile.
I ministri Calenda, Del Rio e Poletti hanno suggerito il «sì» tanto da provocare una vittoria netta del «no». In oltre diecimila votanti su 12mila hanno rifiutato un rifinanziamento di due miliardi da parte degli azionisti, 200 milioni offerti da Etihad. Con il respingimento del piano di salvataggio sarà un commissario straordinario (uno o tre) a studiare un piano industriale da presentare a governo e creditori. Questo prevederà la cessione dell'azienda ad acquirenti terzi, che saranno obbligati a trattenere i lavoratori per almeno due anni.
Il presidente di Alitalia in pectore Luigi Gubitosi, che voleva evitare questo scenario, si è limitato a un «no comment». Sconcerto dalla politica. Per il M5S il governo ha perso un altro referendum, mentre gli altri partiti sono divisi. Forza Italia mette in guardia sulle nuove spese per i contribuenti. Sinistra Italiana e Partito Comunista suggeriscono la nazionalizzazione della compagnia e l'intervento del governo per rilanciare l'azienda. Per i sindacati però non c'erano alternative al «sì». Per Susanna Camusso (Cgil) e Annamaria Furlan (Cisl) i tagli dell'8% sulle retribuzioni - all'inizio erano del 30 - e i 1300 esuberi sarebbero stati un costo necessario per favorire gli investimenti promessi da Etihad e dalle banche Intesa San Paolo e Unicredit.
Per l'amministrazione straordinaria, sulla quale deciderà il cda, dovrà ora far fronte a un problema di liquidità. Se non si trovano i 950 milioni mancanti, Alitalia è destinata a un fallimento previsto entro la fine di maggio.
Alla disperata ricerca di un acquirente diverso dallo Stato non ci sarà nemmeno l'alternativa di un riequilibrio finanziario come avvenne per la Parmalat. Ipotesi esclusa perché Alitalia fornisce servizi e non ha un core business industriale come l'azienda del latte.
Ora per 980 dipendenti con il contratto a tempo indeterminato ci sarà la cassa integrazione e, se nessuno comprerà la compagnia, questa sarà ceduta a pezzi. Alla fine dei due anni di ammortizzazioni però, per i lavoratori ci sarà solo la disoccupazione. Fra loro rabbia e delusione, ma la risposta della maggioranza, con la vittoria del «no», a governo e vertici dell'azienda è chiara: «Alitalia è un problema nazionale, non dovevano scaricarcelo addosso!». Di fronte al baratro del fallimento, o la generosità di un nuovo imprenditore per un'azienda piena di debiti, o l'intervento dello Stato. E in caso di nazionalizzazione saranno tutti i contribuenti italiani a pagare.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia