(ASI) La notizia ha fatto scalpore ed è stata riportata da tutti gli organi di stampa con commenti e considerazioni a volte superficiali ed inopportuni: Andrea Agnelli, presidente della Juventus, con altri dirigenti della società bianconera sono stati deferiti dalla Procura federale della Figc per violazione dell’art. 1 bis (principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art.12 per aver intrattenuto ”rapporti costanti e duraturi con cosiddetti “gruppi ultras” anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, autorizzando la fornitura agli stessi di dotazioni di biglietti e abbonamenti in numero superiore al consentito, anche a credito” e così “favorendo consapevolmente il fenomeno del bagarinaggio” e “partecipando personalmente, in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata e della tifoseria ultras”. Il fascicolo aperto dalla Procura della Figc dall’acquisizione degli atti della Procura della Repubblica di Torino, relativi all’inchiesta “alto Piemonte” per la quale è sotto processo Rocco Dominello, incensurato, ritenuto referente di una cosca di Rosarno (RC). In sostanza Agnelli e gli altri soggetti coinvolti nel deferimento sarebbero colpevoli di una presunta collaborazione con esponenti della ‘ndrangheta. Le repliche alle accuse che il presidente Agnelli ha fatto nel corso di una conferenza stampa sono improntare, mi pare, alla saggezza e al buonsenso, cose che spesso mancano, negli organi inquirenti sportivi e non. Il Presidente della Juventus ammette di aver incontrato esponenti del tifo organizzato, cosa peraltro del tutto normale e frequente che fanno un po’ tutti i presidenti, in serie A come in terza categoria, poi aggiunge “se alcuni di questi personaggi hanno assunto una veste diversa agli occhi della giustizia penale, questo è un aspetto che all’epoca dei fatti non era noto, né a me né a nessuno dei dipendenti della Juventus. E all’argomento che qualcuno potrebbe opporre - ha proseguito Agnelli - che gli ultras o i loro capi non sono stinchi di santo, dico che condivido ma rispetto le leggi dello Stato e queste persone erano libere e non avevano alcuna restrizione a frequentare lo stadio e le partite di calcio”. La questione piuttosto grave impone una riflessione seria e più ampia su quello che si pretende dai cittadini nei rapporti di tutti i giorni, in tutte le varie attività, con esponenti, conosciuti e non, più o meno presunti, della criminalità organizzata. Se il fenomeno mafioso in Italia è così diffuso vuol dire che il contrasto che finora ha fatto lo Stato non è stato efficace. Di più: tutti i procuratori ed i giudici che si sono occupati di criminalità organizzata, nelle varie articolazioni (mafia, ‘ndrangheta, camorra, corona unita) hanno sempre sostenuto (basta seguire le inchieste e leggere le sentenze) che senza la connivenza con il potere politico il fenomeno mafioso sarebbe stato non stroncato del tutto ma certamente sensibilmente ridimensionato. Questo finora purtroppo non è avvenuto e dunque il fenomeno criminale condiziona pesantemente - piaccia o non piaccia questa è l’amara realtà - molte attività pubbliche e private. In questo quadro sconfortante è lodevole il compito di tutti coloro che cercano di combattere la criminalità organizzata, a tutti i livelli. Ma non ci si può trincerare dietro un’antimafia di facciata, inutile, ipocrita, addirittura dannosa, pensando così di salvare l’anima e la faccia. Non conosco il presidente Agnelli e non sono qui per difenderlo, non è compito di un giornalista, ma è doveroso rappresentare la realtà così com’è. Tutto ciò premesso, secondo questi intraprendenti signori della Procura federale della Figc, che cosa avrebbe dovuto fare Agnelli incontrando i tifosi? Chiedere ad ognuno di loro il certificato dei carichi pendenti? Ammesso che tra i tifosi ci fossero stati presunti mafiosi che cosa avrebbe dovuto e potuto fare? Non farli partecipare all’incontro? Ma che strumenti e con quali modalità avrebbe potuto eventualmente individuarli? Se erano liberi, vuol dire che potevano andare dove volevano, alla partita e all’incontro con il presidente. Agnelli corre un grave rischio quando afferma “non ho mai incontrato boss mafiosi” perché un giorno potrebbe comparire una foto in cui tra mille tifosi compare un mafioso e allora si scatenerebbe l’inferno. Ma se ciò accadesse la colpa non sarebbe certo di Agnelli, sarebbe dello Stato che quel mafioso lo ha lasciato libero. E’ quello che accade molto spesso nei paesi del Sud in cui i mafiosi vivono stabilmente. La lotta alla criminalità avviene chiudendo i bar perché frequentati da questi esponenti. Che cosa dovrebbero fare i baristi di quei locali a chi gli chiede un caffè? Niente da fare, prima il certificato dei carichi pendenti? Assurdo e demenziale assieme. Ma Rosy Bindi, che è presidente della Commissione parlamentare antimafia, perché non propone una legge per imporre ai presidenti di Camera e Senato di chiedere a tutti i parlamentari, prima di entrare in aula, il certificato dei carichi pendenti? Questo sì che sarebbe, oltre che giusto, doveroso, trattandosi di due tra le più importanti sedi istituzionali. Invece si pretende che lo facciano i presidenti delle squadre di calcio ed i baristi.
Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia