A che punto siamo con la gestione della migrazione?

(ASI) Roma – Mentre l’incubo della guerra torna a sconvolgere l’Europa, il vecchio continente continua a fare i conti con un’altra questione spinosa capace di rimettere in discussione gli equilibri politici fra gli Stati membri.

Dallo stallo sulla riforma del meccanismo di Dublino fino al recente veto di Ungheria e Polonia sulla nuova proposta di regolamentazione comunitaria, la gestione dei flussi, le procedure di accoglienza e ripartizione dei richiedenti asilo non hanno mai smesso di dividere le cancellerie europee.

E se il dibattito interno s’incaglia spesso e volentieri in un insidioso nulla di fatto, dal punto di vista esterno la situazione non è certo migliore. Nel corso degli anni Bruxelles ha adottato un approccio di politica estera assai euro-centrico e ha preferito delegare ai paesi terzi la gestione dei migranti.

La sottoscrizione di accordi incentrati su aiuti economici in cambio dell’esternalizzazione dell’amministrazione ha suscitato non poche perplessità, soprattutto considerando la scarsa democraticità degli Stati coinvolti nelle trattative. Accanto a ciò si è posto il tema del trattamento, sovente violento e disumano, riservato a persone disperate in fuga da situazioni ai limiti della sopravvivenza. Non ci sono solo i controversi casi di Libia o Turchia. Le settimane scorse il problema si è riproposto con la Tunisia e il suo presidente, Kais Saied, il cui metodo di governo sta assumendo connotati sempre più dittatoriali.

In tale contesto va inquadrata la “Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni”, organizzata dal governo italiano e tenutasi il 23 luglio presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Alla Farnesina Giorgia Meloni ha accolto i vertici dell’Unione europea, i presidenti di una ventina di Stati africani, del Medio Oriente e del Golfo, i rappresentanti delle organizzazioni politiche, umanitarie e finanziarie africane (Unione africana, Banca africana di sviluppo) e internazionali (Banca europea per gli investimenti, Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite).

L’atteggiamento dell’esecutivo italiano appare piuttosto ambizioso. Secondo Palazzo Chigi, la Conferenza è un punto di partenza verso un “percorso pluriennale”. L’obiettivo principale consiste nel dar vita a un “partenariato tra pari, multidimensionale e di lungo periodo” con i paesi di origine e transito dei migranti. Si tratta, in sostanza, di finanziare una serie di iniziative tangibili in grado di migliorare sensibilmente le condizioni di vita degli Stati più fragili e scoraggiare l’esodo dei richiedenti asilo in direzione dell’Europa.

Al termine della Conferenza, i partecipanti hanno sottoscritto un documento congiunto che stabilisce la nascita ufficiale del “Processo di Roma”. Il testo del documento lo definisce una “piattaforma strategica, globale, inclusiva, pluriennale” incaricata di favorire il dialogo fra le due sponde del Mediterraneo.

Il Processo intende fornire una “soluzione strutturale di lungo termine” alla questione spinosa della migrazione, promuovendo progetti di sviluppo sociale ed economico agli Stati africani bisognosi. Ciò, a sua volta, dovrebbe stimolare la loro stabilità politica e finanziaria, contribuendo a diminuire le partenze e – in conseguenza – arginare i flussi irregolari, le attività criminali dei trafficanti di esseri umani, le drammatiche morti in mare.

I progetti saranno concordati congiuntamente, potranno essere sovvenzionati anche dai privati in collaborazione con le organizzazioni internazionali, europee ed africane e riguarderanno molteplici settori. Si va dall’inclusione sociale delle fasce più indigenti alla creazione di nuovi posti di lavoro grazie a una formazione maggiormente qualificata, dalla garanzia dell’accesso per tutti ad acqua, sanità, energia e ai servizi di prima necessità fino all’assistenza umanitaria.

La cooperazione si estenderà, altresì, al contrasto alla migrazione irregolare nonché alle attività illecite correlate. Il documento parla, ad esempio, della sottoscrizione di specifici accordi bilaterali o multilaterali per coordinare le operazioni di polizia contro il traffico di esseri umani. Spazio anche a una cooperazione a livello legislativo, al fine di facilitare l’incriminazione dei trafficanti e la confisca del loro bottino.

Relativamente alla gestione dei flussi, è prevista una maggiore cooperazione in tutte le fasi amministrative. Particolare attenzione è stata conferita alla riammissione dei migranti considerati irregolari e quindi respinti dall’Europa. I partecipanti si sono impegnati a “garantire le migliori condizioni per il reinserimento sociale”, affinché i migranti possano vivere dignitosamente nella propria comunità locale e non sentano più il bisogno di abbandonarla.

Sotto osservazione anche gli effetti imprevedibili e devastanti dei cambiamenti climatici, che fin troppo spesso distruggono aree già di per sé critiche e costringono la popolazione a sfiancanti esodi verso i paesi circostanti oppure direttamente in Europa. I partecipanti hanno definito tali fenomeni come una “minaccia per lo sviluppo sostenibile” e hanno concordato di agire insieme per cercare di invertire la rotta e compiere una transizione energetica reciprocamente vantaggiosa.

“I partecipanti convengono di promuovere un modello di sviluppo diffuso, non sfruttatorio e sostenibile nei paesi di origine e di transito della migrazione irregolare” recita il documento. È forse questo uno degli aspetti più innovativi del “Processo di Roma”. L’insistenza dei vertici Ue sulle “condizioni di parità” dei negoziati dimostra la volontà di Bruxelles di presentarsi alla sponda Sud del Mediterraneo come un partner sicuro e affidabile.

Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che l’aiuto dell’Africa è indispensabile per gestire le migrazioni. Ma l’Europa ha bisogno anche delle preziose risorse africane per completare il graduale processo di affrancamento dalle fonti energetiche e dalle materie prime critiche russe e cinesi.

Non a caso, prendendo la parola la presidente della Commissione ha sottolineato l’importanza di creare “partenariati forti e duraturi”. Ursula von der Leyen ha evidenziato gli ingenti investimenti già in essere con l’Africa – dall’energia verde al commercio, dalle infrastrutture all’istruzione solo per fare qualche esempio – soffermandosi sulle ricadute positive per le comunità locali. E sul “Processo di Roma”, ha soggiunto: “Si tratta di un'opportunità per fare squadra. È un nuovo forum per capirsi meglio, identificare i reciproci interessi, trovare soluzioni reciprocamente vantaggiose”.

Del medesimo avviso la padrona di casa, la quale ha affermato: “Per affrontare le grandi crisi del nostro tempo è fondamentale saper lavorare insieme”. Giorgia Meloni ha ripetutamente fatto riferimento ai termini “sviluppo” e “cooperazione”. Ha poi annunciato che verrà presto istituito un “Comitato direttivo” incaricato di organizzare incontri sistematici fra le delegazioni.

Resta da vedere quale sarà il reale impatto della Conferenza. A ben vedere, i principi enunciati appaiono assai generici e, almeno al momento, i progetti e le iniziative in programma sono prive di coperture. Il testo stesso del documento recita: “Gli Stati e le organizzazioni che lo desiderano metteranno a disposizione risorse finanziarie adeguate”. Tradotto: la partecipazione concreta è a base volontaria.

Intervenendo sull’argomento, Meloni ha preso tempo, affermando che la costituzione di un fondo comune da cui attingere è “un obiettivo di medio periodo”. Il presidente del Consiglio ha annunciato un’imminente “conferenza dei donatori” che dovrebbe riunire le grandi istituzioni politiche e finanziarie, le cancellerie dei paesi interessati, il settore privato, le piccole e medie imprese. Per ora, comunque, non è dato sapere né quando né in che modo l’evento si svolgerà.

D’altronde, il rapporto Europa-Africa non è poi così roseo. Pesa indubbiamente il poco edificante passato coloniale di molti Stati membri, che incide sulla diffidenza della sponda Sud del Mediterraneo. Passato scomodissimo, che peraltro Russia e Cina non smettono mai di rievocare, nella speranza di screditare l’Ue agli occhi dell’opinione pubblica locale ed estendere, invece, la propria sfera d’influenza.

Ma a pesare è anche l’insistenza del Nord sulla questione migratoria, che diversi Stati africani giudicano eccessiva e pressante. Per non parlare dell’abitudine di Bruxelles di includere negli accordi economici e commerciali clausole sui principi democratici occidentali. Una strategia spesso accolta con insofferenza in quanto interpretata – anche a causa delle suggestioni russe e cinesi – come un’ingiustificata ingerenza nelle questioni interne.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

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