(ASI) Madrid – Se in questo momento c’è un vincitore in Spagna, si tratta sicuramente del partito della moderazione. Al netto dell’instabilità che si sta creando, l’unico dato certo è la netta sconfitta degli estremismi, siano essi di destra o sinistra.
Gli iberici si sono recati alle urne domenica 23 luglio, con ben cinque mesi di anticipo rispetto al regolare calendario. La decisione è stata presa direttamente dall’ex Primo ministro Pedro Sánchez, in seguito alla sconfitta dei socialisti alle consultazioni amministrative dello scorso maggio.
L’esito, tuttavia, è tutt’altro che scontato. Nessuno dei partiti, infatti, è riuscito a superare il limite dei 176 seggi in Parlamento, ovvero la soglia necessaria per poter vantare almeno la maggioranza relativa.
Il Partito popolare (PP) di Alberto Núñez Feijóo ci è arrivato vicino, conquistando 136 seggi. La seconda formazione più votata è stata proprio quella dell’ex presidente. Il Partito socialista (PSOE) di Sánchez si attesta a 122 seggi. In terza posizione troviamo l’estrema destra di Vox. Il segretario, Santiago Abascal, deve accontentarsi del magro bottino di 33 seggi. A incalzarlo a stretto giro, con appena due rappresentanti in meno, vi è la sinistra radicale del Movimento Sumar. A guidarne le redini l’ex ministra del Lavoro ed ex vicepresidente del Governo Yolanda Diaz.
Uno stallo in piena regola, si potrebbe dire. Perché, a ben vedere, nessuna formazione ha al momento la possibilità di governare. Se i popolari si alleassero con i nazionalisti di Vox – come è successo alle amministrative di maggio – occuperebbero solo 169 seggi, insufficienti a vincere la maggioranza relativa. Non va meglio all’ipotetica coalizione socialisti-Sumar, che si fermerebbe a quota 153.
Ed ecco che potrebbero rivelarsi miracolosi i 7 seggi ottenuti da Uniti per la Catalogna, il partito indipendentista di Carles Puigdemont. Si tratta esattamente del numero che divide l’ipotetica coalizione popolari-Vox dalla fatidica soglia di maggioranza relativa.
Sennonché, la Corte suprema ha appena spiccato un mandato d’arresto europeo per il controverso Puigdemont. Così, il politico che anni fa fece tremare Madrid agitando lo spettro dell’indipendenza catalana si ritrova ora a un passo dalla cattura. “Un giorno sei decisivo per formare il governo, il giorno dopo la Spagna ordina il tuo arresto”, ha commentato amaramente su Twitter.
Al di là dei dati numerici, cosa ci dicono davvero le elezioni spagnole? Ci dicono, in primis, che tutti gli scenari sono ancora aperti. Gli osservatori hanno ipotizzato una grande coalizione popolari-socialisti o addirittura un governo di unità nazionale. Scenari assai inediti per la politica iberica, ma che consentirebbero di uscire dal vicolo cieco.
Soprattutto, però, le urne lanciano un messaggio inequivocabile: in Spagna non c’è posto per gli estremismi. Questo è vero maggiormente per l’ultradestra di Vox, che non solo ha realizzato un risultato magrissimo, ma è pure crollata vertiginosamente rispetto alle consultazioni precedenti.
Il tonfo di Abascal ha evidenti ripercussioni oltre i confini nazionali. Infatti, chi temeva un’ondata di estrema destra in Europa può per ora tirare un sospiro di sollievo. L’esperimento italiano non si è ancora replicato su larga scala. Anzi, l’esperienza di Vox ha indebolito l’immagine internazionale di Giorgia Meloni, che proprio pochi giorni fa si era recata in Spagna per sostenere la campagna elettorale degli “alleati”.
Ora i riflettori sono puntati sui protagonisti della tornata, in attesa di capire come si muoveranno. Núñez Feijóo, a capo del partito più votato, si è subito riservato un ruolo di primo piano: “Il risultato elettorale ci permette di avviare una legislatura e di lavorare per la governabilità del nostro paese”. Il numero uno del PP ha annunciato di aver già avviato colloqui con tutti i partiti, ivi compresi i socialisti e Vox, allo scopo di assicurare “l'investitura di un governo”. Forte degli scrutini ottenuti, Núñez Feijóo ha affermato che lavorerà con responsabilità e senza preconcetti, ma ha anche precisato che non diverrà “ostaggio della volontà altrui”.
Pedro Sánchez ha festeggiato un risultato piuttosto soddisfacente, che gli consente di farsi valere, di sedersi a pieno titolo al tavolo dei negoziati. L’ex Primo ministro ha rivendicato la decisione di convocare immediatamente nuove elezioni dopo la disfatta alle amministrative, convinto di aver frenato in tempo l’espansione delle destre. Fiero di aver incrementato i voti ricevuti, Sánchez è passato all’attacco: “La Spagna è stata molto chiara. Il blocco arretrato e retrogrado, che proponeva un'abrogazione totale di tutti i progressi che abbiamo fatto negli ultimi quattro anni, ha fallito”. Ha poi criticato aspramente le istanze assai conservatrici sui diritti sociali e le libertà fondamentali portate avanti da Vox.
Il partito di Abascal, dal canto suo, si è rifiutato di alzare bandiera bianca, promettendo di continuare a lavorare “per la prosperità degli spagnoli”. Il segretario generale, Ignacio Garriga, ha addossato la colpa del flop al sistema dell’informazione, accusando sia i media vicini ai socialisti sia i media vicini ai popolari. Garriga si è scagliato contro quella che definisce una “campagna di demonizzazione e manipolazione senza precedenti” responsabile, a suo dire, di aver danneggiato considerevolmente l’immagine di Vox.
“Questo per noi non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza”, ha commentato invece Yolanda Diaz. La leader di Sumar si è detta soddisfatta del risultato delle sue prime elezioni. Ha promesso che si impegnerà alacremente in futuro e che il movimento sarà fondamentale per gli sviluppo di politica interna “nel corso del prossimo decennio”.
Resta da vedere quale piega prenderà l’odierno stallo post-elettorale. Quel che è certo è che Madrid non può permettersi a lungo una situazione del genere. A maggior ragione ora che la Spagna detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea e, in conseguenza, ha il potere di influenzare l’agenda dei lavori dell’Ue.
Non può permetterselo, inoltre, in quanto rischia di vanificare i progressi economici compiuti dalla presidenza Sánchez. È vero che, stando ai dati forniti dall’Istituto Ispi, la disoccupazione è alta più del doppio rispetto alla media europea (12,7% contro 5,9%). Ma è anche vero che una serie di fattori giocano decisamente a favore di Madrid. L’inflazione, ad esempio, è la più bassa in tutta l’Eurozona (1,6% in confronto a una media del 5,5%). Nel contempo, l’anno scorso il Pil iberico è cresciuto maggiormente della media Ue (5,5% a fronte del 3,5%) e le stime della Commissione per gli anni a venire si confermano positive.
Il destino del paese, mai come adesso, è riposto nel senso di responsabilità dei suoi capi politici, nella loro capacità di mettere da parte le divisioni ideologiche in nome del bene comune.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia