(ASI) Vilnius – Quello tenutosi in Lituania l’11 e 12 luglio non è stato un vertice qualsiasi per l’Alleanza atlantica. Dinanzi all’emergere di nuove sfide e potenziali concorrenti, i membri Nato hanno voluto lanciare un messaggio di coesione e forza, adottando decisioni importanti.
La guerra in Ucraina, sì, ma anche le sfaccettate relazioni con la Cina, la gestione delle crisi nelle aree calde del pianeta, l’impegno per un apparato difensivo comune efficiente, moderno. Di tutto questo si è discusso nella due giorni andata in scena nella capitale Vilnius.
La notizia più significativa riguarda l’adesione ufficiale dell’Ucraina. “Saremo in grado di estendere l'invito ad aderire quando gli alleati saranno d'accordo e le condizioni saranno soddisfatte”, recita il lungo comunicato rilasciato al termine dei lavori. In sostanza, l’entrata di Kyiv è stata solo rimandata in un futuro prossimo, formalmente in attesa che il governo adotti alcune riforme improrogabili.
In realtà, nonostante le ripetute pressioni di Volodymyr Zelensky, numerose cancellerie avevano già lasciato intendere le loro perplessità sull’ingresso immediato. Un ulteriore freno era arrivato direttamente dal presidente americano, Joe Biden, proprio a ridosso del vertice. Sulla carta, quasi nessuno avrebbe nulla da eccepire. D’altronde, il medesimo comunicato recita: “Il futuro dell'Ucraina è nella Nato. L'Ucraina diventerà membro della Nato”.
Il vero problema è che l’immediato ingresso di Kyiv farebbe attivare una pericolosa clausola contenuta nel Trattato istitutivo dell’Alleanza. Si tratta, per la precisione, dell’articolo 5 che di fatto obbligherebbe la Nato a intervenire direttamente nel conflitto per difendere i suoi membri da attacchi armati esterni. Un’opzione, questa, che aggraverebbe irrimediabilmente i toni della guerra, con conseguenze catastrofiche per tutti.
Zelensky, in ogni caso, non sembra avere molto da recriminare. Infatti, è stato istituito un nuovo organo, il Consiglio Nato-Ucraina, grazie al quale le relazioni con Kyiv si rafforzeranno sempre più, anche in assenza dell’ingresso ufficiale nell’Alleanza. Inoltre, i membri hanno concordato un “programma pluriennale di assistenza” mirato a “sostenere la difesa dell'Ucraina nel breve, medio e lungo termine”. Ciò significa che il paese continuerà a ricevere regolari finanziamenti con cui potrà migliorare le proprie capacità di difesa e ammodernare gli armamenti in linea con le dotazioni degli alleati.
Dal vertice è giunta l’ennesima dura condanna della “guerra di aggressione illegale, ingiustificabile e non provocata” di Vladimir Putin. I membri lo hanno ripetuto: non hanno alcuna intenzione di riconoscere i territori ucraini illegittimamente annessi dal Cremlino. Si sono impegnati a perseguire penalmente le atrocità commesse dalla Federazione, ivi compresi i crimini di guerra, gli attacchi ai civili inermi e alle infrastrutture di prima necessità, la deportazione dei bambini. Hanno precisato che sono pronti a trattare una “pace giusta e duratura”, ma solo a condizione del ritiro “completo e incondizionato” di Mosca.
Il comunicato ci tiene a sottolineare che “la Nato non cerca il conflitto e non rappresenta una minaccia per la Russia” e che, al contrario, continuerà a “mantenere aperti i canali di comunicazione”. Tuttavia, deplora “l'irresponsabile retorica nucleare” portata avanti dal Cremlino, unitamente alla scelta intimidatoria di stracciare gli storici trattati di non proliferazione e di dispiegare armi nucleari tattiche in Bielorussia. Finché il Cremlino non cambierà atteggiamento, si legge, esso sarà considerato “la minaccia più grave e diretta per la sicurezza dell'area euro-atlantica”. Qualsiasi tentativo di dialogo rimarrà precluso.
Non meno pericolose si rivelano le ambizioni cinesi nell’espandere costantemente la propria sfera d’influenza a scapito dell’Occidente. I membri hanno puntualizzato che sono disposti a collaborare costruttivamente purché Pechino, dal canto suo, rispetti il diritto internazionale. Nello specifico, gli alleati hanno accusato il paese del dragone di sfruttare la potenza economica per condizionare i partner commerciali e imporre velatamente su di loro la propria volontà. Dietro a ciò si celerebbe un’apposita strategia orientata a soffocare l’indipendenza dei partner, inducendoli man mano verso la dipendenza dalle fonti energetiche e dalle materie prime cinesi.
L’acredine occidentale nei confronti di Xi Jinping si spiega, in parte, anche con la sua ambiguità sull’iniziativa bellica di Putin. Ambiguità ben esemplificata dalla presentazione di un “piano di piace” talmente attento a non sbilanciarsi da risultare fin troppo controverso. I membri hanno dunque esortato Pechino a fare pressione sul Cremlino per indurlo a cessare le ostilità. In merito alla possibile fornitura di armamenti, hanno invitato Xi ad “astenersi dal sostenere in qualsiasi modo lo sforzo bellico della Russia”.
Decisioni importanti sono state prese nell’ambito della sicurezza comune. “Riaffermiamo l’impegno ferreo a difendere ogni centimetro di territorio alleato”, afferma perentorio il comunicato. Oltre a essere un monito per gli avversari esterni, l’espressione incarna un appello tutto interno, rivolto alle cancellerie degli Stati aderenti. Non a caso, i membri hanno concordato di aumentare le spese militari e investire nella difesa almeno il 2% del Pil ogni anno.
L’Alleanza ha colto l’occasione per precisare che ricorrerà all’uso della forza esclusivamente a scopo difensivo, in maniera proporzionata alla sollecitazione ricevuta, nel rispetto del diritto internazionale. Se necessario, non si esclude l’impiego del nucleare, anche se al momento tale eventualità appare “estremamente remota”. Ciononostante, in caso di attacco esterno gli alleati non resteranno certo a guardare: “Qualsiasi impiego di armi nucleari contro la Nato modificherebbe radicalmente la natura di un conflitto. L'Alleanza ha le capacità di imporre a un avversario costi di gran lunga superiori ai benefici che esso spera di ottenere”.
Il vertice ha, altresì, esaminato le condizioni di alcune aree particolarmente instabili. I membri hanno richiamato la Serbia – storicamente legata alla Russia – a rompere gli indugi e mantenere gli impegni presi con la Nato. Relativamente agli scontri fra serbi e kosovari, hanno invitato entrambe le parti a sedersi attorno a un tavolo e porre fine alle tensioni etniche. Alla luce delle violenze scoppiate nella zona settentrionale del Kosovo, è stato annunciato un potenziamento della missione KFOR, la quale da lunghi anni sta cercando di costruire le basi di una convivenza pacifica.
Spostandosi più a Est, si è ripetuto che presto la Georgia diventerà membro della Nato. Nel frattempo si è esortata ancora una volta la Russia ad abbandonare i territori contesi dell'Abkhazia e dell'Ossezia meridionale. Stesso discorso per le truppe moscovite stanziate in Transnistria, regione autoproclamatasi indipendente dalla Moldavia. In seguito alla sorprendente scoperta di un piano russo per sovvertire la classe dirigente europeista, dal vertice è arrivato l’impegno a rafforzare le capacità di difesa del paese, modernizzarne le forze armate, sostenerne in pieno l’integrazione nell’Unione europea.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia