Guerra a TikTok

(ASI) Bruxelles – Il regolare funzionamento di TikTok nei paesi occidentali non è mai stato così a rischio. Una serie di provvedimenti legislativi potrebbe presto intaccare l’avvenire di una delle piattaforme più amate dalle giovani generazioni.

È in corso, infatti, un vero e proprio conflitto senza esclusione di colpi ai danni del social controllato dal colosso informatico cinese ByteDance. In seguito alla sua diffusione virale, TikTok ha aperto uffici in tutto il mondo, da New York a Londra, da Parigi a Berlino, da Mumbai a Singapore, da Seoul a Tokyo. A destare preoccupazione, tuttavia, sono i legami poco chiari del suo proprietario con la classe dirigente del Paese del dragone.

A febbraio la Commissione europea ha deciso di interdire temporaneamente l’utilizzo del social da parte del personale. Gli impiegati dovranno disinstallare l’applicazione dai dispositivi aziendali e dai dispositivi personali con cui accedono alla connessione Internet o ai servizi di lavoro online offerti dalla Commissione. Chi non si adeguerà, perderà la possibilità di usufruire dei servizi digitali forniti.

Anche l’Europarlamento ha finito per seguire l’esempio, impedendo a sua volta l’installazione dell’applicazione su tutti i cellulari dei dipendenti connessi alla posta elettronica o alle reti parlamentari.

La misura è stata motivata con la volontà di proteggere le istituzioni comunitarie più importanti da “minacce alla cibersicurezza” e “attacchi informatici”. In un comunicato stampa, la Commissione è stata chiara: “È nostro dovere rispondere con la massima tempestività ai potenziali allarmi informatici”.

Pure il Canada non ha esitato a mobilitarsi sulla scia della legislazione europea, emanando un analogo provvedimento con il quale vieta l'installazione di TikTok su tutti i dispositivi mobili in dotazione ai dipendenti governativi. Il Primo ministro Justin Trudeau ha parlato di un “passo significativo” che intende spingere la popolazione a riconsiderare attentamente la loro vita digitale. “Mi auguro che i canadesi, siano essi aziende o privati, riflettano e agiscano di conseguenza” ha aggiunto.

Al momento, va detto, la proibizione riguarda solo i funzionari governativi e comunitari. I semplici cittadini possono continuare a guardare i contenuti della piattaforma sui propri dispositivi privati. Ma perché il social fa così paura?

Per comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro e tornare negli Stati Uniti dell’amministrazione Trump. In effetti, già nel 2020 il discusso presidente americano aveva tentato di erigere le barricate contro TikTok. Erano gli anni delle polemiche infuocate con Pechino e a rimetterci fu il colosso tecnologico cinese Huawei, abbandonato da Google e costretto a sviluppare il proprio sistema operativo.

Con la vittoria elettorale del democratico Biden, ByteDance sembrava poter tirare un sospiro di sollievo. Il nuovo inquilino della Casa Bianca era addirittura arrivato ad aprile un profilo pubblico di successo sulla piattaforma.

Poi, però, ecco sopraggiungere scandali e accuse incrociate. Come riporta “The Guardian”, lo scorso dicembre la stessa TikTok ha ammesso di “aver utilizzato la sua applicazione per spiare alcuni giornalisti statunitensi nell'ambito di un'indagine su una fuga di notizie”. Secondo il quotidiano, inoltre, fino a poco tempo fa le linee guida sui contenuti avrebbero “promosso la politica estera di Pechino”, in virtù delle controverse relazioni intrattenute da ByteDance con la classe dirigente cinese.

A parere di Washington, quindi, ci si troverebbe di fronte a un raffinato strumento di propaganda e spionaggio, in grado di carpire segretamente i dati degli utenti attraverso l’applicazione per dispositivi mobili. Un’ipotesi gravissima, soprattutto se si considerano come bersagli privilegiati i cellulari dei dipendenti governativi. A tal punto che l’FBI ha lanciato ripetuti avvertimenti invocando un’insidia concreta per la sicurezza nazionale.

E così a fine 2022 gli Stati Uniti hanno fatto da apripista, ordinando per primi ai funzionari del Congresso e di numerose agenzie federali quali la Casa Bianca, il Dipartimento per la difesa, il Dipartimento per la sicurezza interna di rimuovere TikTok dai propri telefonini.

L’azienda, dal canto suo, si è sempre difesa affermando come la riservatezza dei dati personali e la sicurezza degli utenti siano tra le massime priorità. La piattaforma ha escluso di poter risalire alle informazioni tecniche del cellulare o al numero identificativo della scheda SIM attraverso l’applicazione mobile. Ha riconosciuto di servirsi delle informazioni sulla posizione tramite il GPS dei telefonini, ma all’unico scopo di mostrare agli utenti contenuti popolari nella loro zona o annunci pubblicitari personalizzati e solo se gli utenti hanno precedentemente abilitato i servizi di localizzazione.

In merito ai recenti sviluppi europei, la replica non si è fatta attendere. L’azienda ha bollato la sospensione temporanea stabilita da Bruxelles come “sbagliata e basata esclusivamente su pregiudizi”. In un’intervista, il responsabile delle relazioni istituzionali ha tentato in ogni modo di smarcarsi dalle ingombranti relazioni con l’esecutivo di Pechino. Giacomo Lev Mannheimer ci ha tenuto a sottolineare che TikTok è una “piattaforma globale” con uffici in tutto il mondo e investitori internazionali. “Il Governo cinese non ci ha mai richiesto l’acceso ai dati dei nostri utenti e se lo facesse non glielo accorderemmo” ha esclamato.

Il vicepresidente per le politiche pubbliche europee si è detto sconcertato per aver appreso della sospensione per mezzo della stampa. “È sorprendente che la Commissione non ci abbia convocato per domandarci chiarimenti” ha protestato Theo Bertram all’agenzia “Bloomberg”. Poi, ha rincarato la dose: “Ci aspettiamo che la Commissione sia capace di spiegarci chiaramente quali siano le argomentazioni contro di noi e quali prove abbia in merito. Finora, però, non è pervenuto nulla. Questo mi sembra un atteggiamento decisamente anti-europeo”.

Al di là delle polemiche e delle accuse reciproche, non è possibile al momento fare previsioni sul destino di TikTok in Occidente. Una cosa è certa: tutti i social che usiamo abitualmente sfruttano i nostri dati per monetizzare. È grazie a ciò se essi sono – almeno all’apparenza – gratuiti.

E se la piattaforma di ByteDance presenta ancora molti lati oscuri, persino i social americani del gruppo Meta come Facebook, Instagram o WhatsApp hanno in passato dovuto fronteggiare scandali legati proprio all’impiego poco trasparente dei dati personali.

Nel mondo iperconnesso in cui viviamo gli strumenti digitali a nostra disposizione sanno di noi molto più di quanto potremmo immaginare. In questo campo non c’è poi così tanta differenza fra Oriente e Occidente.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia 

 
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