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L’Egitto, il Nilo e la politica estera del nuovo regime

(ASI) In principio fu l’Egitto, da lì infatti è iniziata quella che gli analisti liberal-liberisti filo statunitensi chiamano primavera dei popoli e che invece giorno dopo giorni si sta rivelando sempre più l’ennesima riproposizione dell’11 settembre, quello del 1973 per la precisione.

 

Come dicevamo sopra in principio fu il grande paese nordafricano il primo ad abbattere un governo per sostituirlo con un nuovo regime più democratico, che infatti ancora oggi vede il colletti binchi dei nuovi capi ornati dalle stellette militari; il passaggio di potere ha ovviamente imposto ai nuovi governanti di modificare un po’ le politiche sia interne che esterne del paese e che ora sembrano interessare il fiume Nilo.

Nei giorni scorsi infatti il neo primo ministro egiziano Essam Sharaf si è recato in visita ufficiale ad Addis Abeba, proprio per parlare con il suo omologo etiope del progetto centro africano di realizzare la “diga del Millennio” per controllare il flusso idrico nella regione occidentale del Benishangul, a 40 Km dal confine sudanese.

Egitto è ovviamente spettatore più che interessato al progetto visto che accordi risalenti al ’29 ed al ‘59 danno proprio al Cairo ed al Sudano il controllo del 90% delle acque in questione oltre a dare proprio al paese delle piramidi il potere di veto sulle decisioni riguardante l’utilizzo delle risorse del fiume.

Mubarak ed i suoi si sono sempre mostrati contrari a questo progetto temendo un impoverimento delle risorse idriche e non indifferenti danni all’economia nazionale, ora però il nuovo regime, più liberista, sembra disposto a rivedere la propria posizione.

Nella regione centro africana il progetto rappresenta però un vero e proprio affare di stato che coinvolge oltre alla nostra ex colonia il Ruanda, la Tanzania, il Kenia, l’Uganda ed il Burundi che mirano non solo a rivedere gli accordi passati ma a cancellarli del tutto, proprio partendo dalla cancellazione del diritto di veto da parte dell’Egitto.

Per l’Etiopia questo progetto rappresenta quasi l’ultima spiaggia visto che il paese è tra i più poveri del mondo per quanto riguarda il punto di vista energetico e realizzare questa diga consentirebbe la realizzazione di un impianto idroelettrico dalla capacità di 6.000 MW, un valore tre volte superiore all’intera potenza elettrica in servizio nel Paese nel 2010; un passo avanti notevole cui deve aggiungersi la Tana Beles, una diga idroelettrica inaugurata circa dodici mesi e realizzata grazie ai finanziamenti della Banca mondiale. Sull’esempio etiope molte altre nazioni dell’area hanno messo in agenda la costruzione di dighe da utilizzare anche per poter mettere a culture vaste aree africane attualmente desertiche.

L’Egitto, il cui territorio è quasi esclusivamente desertico, fino a ieri con Mubarak si era sempre opposto a questi progetti facendo valere la propria possibile di porre il veto, anche perché va ricordato che Israele da anni punta a togliere al Cairo l’acqua del Sinai al deserto del Negev per i propri interessi, motivo per cui gli occupanti della Palestina hanno sempre spinto i governi africani a fare pressioni sull’Egitto per arrivare ad uno sfruttamento diverso della acque del Nilo; da ricordare in ultimo i finanziamenti fatti pervenire al governo etiope nella costruzione di progetti di sfruttamento del Nilo Azzurro o il sostegno dato ai secessioni del Sudan meridionale, area dove transita un quinto dell’acqua che arriva in Egitto, contro il governo centrale di Khartoum, mentre Mubarak aveva cercato in tutti i modi di difendere l’unità sudanese offrendo progetti di cooperazione e promettendo investimenti nel Paese.

Fra un mese i secessionisti proclameranno ufficialmente la nascita del nuovo stato si aprirà un nuovo contenzioso per la spartizione dell’acqua proprio tra Khartoum e Juba. Il rimescolamento delle carte in tavola potrebbe spingere verso la nascita di un asse Khartoum - Addis Abeba per pesare maggiormente nei negoziati.

Il nuovo “democratico” Egitto per essere sempre più legittimato di fronte ad Usa ed Israele non potrà far altro che svendere gli interessi del proprio popolo per aprirsi al mondo liberal-liberista di stampo occidentale.

L’ennesima conferma che le guerre non si combattono più per il petrolio ma per l’oro blu.

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