(ASI) Lo scompenso cardiaco(1) rappresenta una pandemia globale che colpisce ventisei milioni di persone nel mondo e determina milioni di ospedalizzazioni. Oltre il 2% della popolazione mondiale soffre di scompenso cardiaco.

Si stima che i malati siano 15 milioni in Europa e circa 1 milione nel nostro Paese, un quarto dei quali di età inferiore ai 65 anni. In Lombardia si contano circa 180 mila persone con scompenso, oltre 20 mila delle quali a Bergamo e provincia. Secondo recenti stime, il numero di malati tenderà ad aumentare progressivamente sino a raddoppiare nel 2020. L’aumentare della patologia con l’età e l’incremento della proporzione di soggetti anziani nella popolazione rende in parte ragione della frequenza crescente di scompenso cardiaco. Si stima infatti che la sua frequenza raddoppi a ogni decade di età (dopo i 65 anni arriva al 10% circa).

«Oltre i 65 anni lo scompenso cardiaco rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale: anche per questo è considerato un problema di salute pubblica di enorme rilievo» avverte Antonello Gavazzi, cardiologo di FROM Fondazione per la Ricerca Ospedale Papa Giovanni XXIII durante il meeting “Heart Failure at Crossroads”, organizzato da FROM e dall’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.

«Nonostante la disponibilità di nuovi trattamenti e farmaci efficaci, le persone con scompenso cardiaco presentano  percentuali inaccettabili di mortalità e riospedalizzazione, percentuali che non si sono ridotte negli ultimi anni» prosegue Gavazzi. «E’ quindi importante rivalutare le conoscenze per identificare le differenze tra specifiche tipologie di pazienti, in modo da “individuare la malattia” all’interno dello scompenso. Il tipico esempio sono i soggetti con diabete, nei quali lo scompenso cardiaco si sviluppa con specifiche modifiche metaboliche, funzionali, neurormonali ed emodinamiche per cui la malattia può rispondere in maniera diversa alle terapie. Il risultato è che assistiamo a una mortalità elevata per scompenso cardiaco nelle persone con diabete rispetto a quelle senza diabete».

Recenti studi hanno documentato che la diagnosi basata esclusivamente su criteri clinici è spesso inadeguata, particolarmente nel sesso femminile, negli anziani e nei soggetti obesi. Al fine di analizzare l’epidemiologia e la prognosi e di ottimizzare la scelta dei trattamenti dello scompenso cardiaco l’incertezza nella diagnosi della malattia dovrebbe essere minimizzata o evitata. L’adozione di stili di vita che prevengano l’insorgenza di queste condizioni è dunque una strategia fondamentale per prevenire lo scompenso cardiaco e ridurre la mortalità.
La prognosi dello scompenso cardiaco risulta essenzialmente sfavorevole qualora la causa sottostante non sia correggibile. In circa la metà dei pazienti in cui sia stata posta diagnosi di scompenso cardiaco, il decesso si verifica entro 4 anni, mentre in metà di quelli affetti da scompenso cardiaco avanzato il decesso avviene entro 1 anno. Lo scompenso cardiaco avanzato colpisce circa un quarto dei pazienti con questa sindrome trattati in ospedale, e ha un’incidenza stimabile in Italia di 12 000 nuovi casi ogni anno.
Purtroppo nello scompenso cardiaco avanzato l’elevata mortalità è difficilmente modificabile, la sintomatologia è invalidante e la qualità di vita pesantemente compromessa. A differenza di altre cardiopatie di comune rilievo, la mortalità per scompenso cardiaco appare in aumento.
«Questi numeri fanno dello scompenso cardiaco la seconda causa di ricovero ospedaliero, dopo il parto naturale, con costi altissimi per il Servizio Sanitario Nazionale: ogni anno vengono spesi per i ricoveri ospedalieri con diagnosi di scompenso oltre 500 milioni di euro, pari a circa il 3% dei costi totali del Sistema Sanitario Nazionale» aggiunge Gavazzi. «Una delle iniziativa per ridurre la mortalità è la creazione di strutture specialistiche. Nel 2002 gli Ospedali Riuniti sono stati i primi in Italia a dare vita a un’unità dedicata alla cura di questa patologia, la Medicina Cardiovascolare, basata sul lavoro interdisciplinare tra cardiologi e internisti, ottenendo  una significativa  riduzione della mortalità e dei periodi di degenza ospedaliera».

 
Redazione Agenzia Stampa Italia

 

(1) Lo scompenso cardiaco è una malattia cronica, che compare quando il cuore, danneggiato, non è più in grado di svolgere la sua normale funzione di pompa e di mantenere un adeguato flusso di sangue nell’organismo.

Come conseguenza, gli organi e i tessuti ricevono quantità insufficienti di ossigeno per le loro esigenze metaboliche. La reazione dell’organismo all’insufficiente funzione del cuore causa un accumulo di sodio e acqua nei polmoni e nei tessuti. Le conseguenze di ciò sono: affanno, ridotta tolleranza allo sforzo, affaticamento, edema (cioè gonfiore).  La condizione può aggravarsi fino a portare all'edema polmonare acuto e alla morte.

 

 

 

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