Civitella del Tronto e la storia dell'Unità d'Italia
Le origini storico - politiche dello Stato italiano 
(ASI) Civitella del Tronto (Te) - Lo Stato italiano, come ormai convenuto dalla pressoché totalità degli storici, dei giuristi e degli scienziati della politica, nasce tramite un processo di annessione al Regno di Sardegna dei Savoia che non cambiano la numerazione dinastica, a dimostrazione della validità del principio annessionistico rispetto a quello unitario vero e proprio.                                                                                  
 Tutto ciò, crea un fattore di debolezza e divisione interna che, insieme al ritardo di unificazione nazionale dell'Italia rispetto ad altri Stati europei, fanno partire in salita l'esperienza statale italiana che di certo non decolla da subito come quella della Germania che, invece, diventa immediatamente una potenza di prim'ordine, a differenza dell'Italia, le cui fortune resteranno subordinate a quelle di grandi potenze, come la Germania stessa sul continente europeo e alla Gran Bretagna nei territori d'oltremare. 
 
Italia Nazione "Invertebrata' 
 
Questo perché il processo di unificazione statale italiana, poiché più che nazionale bisognerebbe parlare di statale, non coincide con le caratteristiche della nazione che benché nella sua eterogeneità nasce con la pace della guerra sociale fra italici e romani nell' 87 a.e.c. (anche se di nazione antropologica italica se ne può parlare sicuramente fin dalla piena età del ferro, con i culti naturalistici sincreticamente comuni dei popoli italici e dei primi contatti con le popolazioni che venivano dall'Oriente). Infatti, la Nazione Italica può essere considerata invertebrata, con due anime, quella particolaristica, (caratterizzata dall'Italia delle piccole patrie, come le tribù italiche, o le città - stato della Magna Grecia o dell'Etruria, i Comuni, i Feudi, le signorie medievali ) e quella universalistica che è il collante che tiene unite poi le realtà particolaristiche (come l'Ellenismo, la Romanitas che nel Medioevo, fino agli albori della società contemporanea diventano il Papato e il Sacro Romano Imperatore). 
Ebbene, l'Unità d'Italia avvenuta con la forza delle armi e la violenza delle truppe sabaude sulle popolazioni civili, per cancellarne l'identità e la memoria, non rispetta assolutamente il principio della nazione italiana cosiddetta "Invertebrata", perché col principio giacobino di Stato centralizzato, svilisce le entità particolaristiche locali, e non riesce a pieno, nemmeno col concordato con la Chiesa Cattolica del 1927, a sostituire l'universalismo della Roma dei Papi con quello di una risorta Roma dei Cesari. 
Per questi problemi congeniti dello Stato italiano nacque la "Questione Meridionale" e tutta una serie di problemi annessi e connessi che ci portiamo dietro dal 1861.
 
Proclamazione Unità d'Italia e breve cronaca dell'assedio della Fortezza di Civitella del Tronto 
 
Fra luci e ombre, il 17 marzo 2024, è stato il 163esimo Anniversario dell'Unità d'Italia, proclamata a Torino il 17 marzo 1861, allorché erano ancora in corso i combattimenti nei pressi della fortezza di Civitella del Tronto (arresasi il 20 marzo e occupata dalle forze sabaude solo il 22 marzo 1861), oggi in provincia di Teramo, al confine tra Abruzzo e Marche, all'epoca tra Regno delle Due Sicilie e Stato della Chiesa. 
A tal proposito, sono stato in questi giorni a Civitella del Tronto, a fare visita al borgo medievale fortificato, benché non sia potuto salire alla fortezza a causa della intensa pioggia, ma l'opera di ingegneria militare rinascimentale, sorta su un preesistente castello medievale, pressoché totalmente restaurata tra il 1975 e il 1985, dove c'è anche un museo delle armi e delle mappe, già la conosco piuttosto bene dato che fin da bambino andavo a visitarla.
Ma, per oltre un secolo della storia della fortezza di Civitella del Tronto, soprannominata "La Fedelissima", non se ne è parlato, anzi era tabù parlarne, perché legata alla storia preunitaria, e finché c'è stata la monarchia sabauda, era addirittura assolutamente vietato farlo, e la fortezza cannoneggiata e minata dall'interno il 25 marzo 1861 per evitare che potesse essere riutilizzata dalle forze lealiste fedeli al Re Borbone, era caduta in rovina e nel dimenticatoio della storia e con essa gli uomini che ci avevano combattuto. 
A tal proposito, vorrei qui brevemente fare conoscere la sua storia e, in particolar modo quella dell'ultimo assedio per rendere onore e giustizia ai militari e ai civili del Regno delle Due Sicilie, Italiani come noi, patrioti del regno del Sud (non satellite del giogo straniero, come lo dipinge certa storiografia patriottarda, ma nel 1860 pienamente autonomo e indipendente) che hanno resistito per opporsi alla furia di chi ammantandosi dietro ai nobili valori dell'Unità d'Italia ha massacrato altri "Fratelli d'Italia". 
I soldati di Civitella del Tronto, come quelli sul Volturno, sul Garigliano, a Gaeta e a Messina, rimasero fedeli al giuramento al Re e alla patria duosiciliana, nonostante la propaganda della stampa internazionale liberale che faceva sentire come antiquata e sorpassata dalla storia l'identità nazionale tradizionalista fondata sul binomio "per il trono" e "per l'altare', e ovviamente la corruzione dell'oro inglese, sirene irresistibili soprattutto per i generali e gli alti funzionari del regno del sud; non a caso fu soprattutto la truppa e gli ufficiali di basso grado e i sottufficiali che si opposero come e dove poterono alle forze sabaude, sia resistendo sul campo di battaglia, sia dandosi alla macchia col brigantaggio. 
Nella primavera del 1860 la vita trascorreva serenamente a Civitella del Tronto come sempre, anche se c'era un certo via vai di truppe, più clienti nelle locande, e lavori nella fortezza per rinforzarla e ripararla, dopo che nel maggio 1860 c'era stata l'invasione garibaldina della Sicilia e si temeva un possibile attacco da Nord, anche se nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stato Vittorio Emanuele II di Savoia, cugino del Re Francesco II di Borbone, a invadere in pace uno Stato amico, fra il settembre e l'ottobre 1860, con la scusa di ristabilire l'ordine al Sud della Penisola dopo l'entrata di Garibaldi a Napoli il  7 settembre 1860.
Proprio per evitare brutte sorprese, Carlo Filangieri, Ministro della Guerra nel primo governo di Francesco II, aveva mandato in terra d'Abruzzo, nel luglio 1859, il più giovane e uno dei più abili generali dell’esercito duesiciliano, Giuseppe Salvatore Pianell che però alla fine si fece persuadere e tradì la causa del Regno delle Due Sicilie, ammesso nel neonato esercito italiano con lo stesso grado.
D'altronde, per secoli, la fortezza di Civitella è stata la sentinella della frontiera napoletana con i territori della Chiesa, anche se nel 1860 la sua importanza strategica era un po' scemata per la costruzione della strada adriatica costiera.  
Il Generale Pianell era stato chiamato ad ispezionare le strutture militari e decise di avvicendare a Civitella del Tronto il Colonnello Vallese, con l'anziano maggiore Luigi Ascione. Altri ufficiali presenti nella piazzaforte di Civitella del Tronto, al comando dei circa 500 uomini, erano: il Maggiore Salvatore Salinas, il Capitano Raffaele Tiscar (a lui l'ingrato compito di firmare la capitolazione della fortezza), il Tenente di fanteria di riserva Pasquale Le Piane (142 uomini), l'Alfiere Raffaele Giudice che comandava i veterani (circa 100 uomini) e Il tenente di artiglieria Giuseppe Santomartino (40 uomini). Inoltre, c'era il capitano del genio Menzingher che il 7 settembre 1860 passò nelle fila dell'esercito sabaudo. Infine, il generale supremo delle forze abruzzesi, Luigi De Benedictis (67 anni), probabilmente già passato al nemico (si dimise il 15 settembre con i figli e fu condannato a Gaeta in contumacia a morte per diserzione e alto tradimento), per indebolire le forze duosiciliana sul territorio, mandò a Civitella del Tronto un ufficiale molto valido e fedele alla dinastia dei Borbone come il comandante della Gendarmeria Reale, il Capitano Giuseppe Giovane (ufficiale di lungo corso 60 anni e 44 di servizio) che comandava 380 uomini. 
Il 9 settembre 1861, due giorni dopo che Garibaldi era entrato a Napoli,  venne affisso un bando militare a firma del maggiore Ascione, con cui si comunicava lo stato d’assedio, nonostante che il comandante militare delle forze duosiciliane di Teramo, Agostino Veltri, aveva ordinato all'Ascione di arrendersi senza sparare, poiché anche lui era passato con i Sabaudi, allettato dalla possibilità di poter entrare nel nuovo esercito italiano, nel pieno stile trasformistico del Belpaese.
 Il maggiore Ascione, influenzato anche dal Giovane che era un fedelissimo della dinastia Borbone di Napoli, rispettò gli ordini di Francesco II a Gaeta di difendere la piazzaforte di Civitella ad oltranza.
 La fortezza venne subito circondata dalle forze sabaude. Gli assediati ricevevano rifornimenti e aiuti dalle bande di contadini cattolici lealisti fedeli al Re e al Papa che compivano scorribande sulle linee nemiche e che a loro volta erano supportati dagli uomini della fortezza quando erano in difficoltà. 
A Campli fu finanche impedito il plebiscito dagli uomini di Pietro Diodati che venne ucciso. Così,  il capitano Giovane, supportato dai tenenti Le Piane e da Giudice, alla guida di tre colonne di gendarmi e di contadini armati, mossero su Campli, sbaragliando i filo unitari che furono costretti a ripiegare in gran fretta su Teramo, lasciando sul campo un gran numero di cavalli e fucili.
Seguirono analoghe rivolte lealiste nei centri limitrofi e la bandiera duosiciliana tornò a sventolare su Campli, Controguerra, Corropoli, Nereto, Torano.
Per onore di cronaca, i nomi dei capi briganti che combattevano "pel trono e pell'altare" nella zona che ci sono giunti fino a noi sono: Beniamino Di Pietro da Campli, Vincenzo Palmieri da Canzano, Giuseppe Padre da Cermignano, Giobbe Sbardella da Castellalto, Domenico Di Girolamo da Corropoli, Antonio Cucciola da Nereto, Pasquale Clemente da S. Omero, Bonaventura Di Zopito da S. Egidio, Eugenio Capone da Tortoreto e Generoso Volpi da Valle Castellana. 
La Fortezza di Civitella del Tronto era diventata una vera e propria spina nel fianco per l'esercito e le autorità rivoluzionarie, così furono mandati a inizio novembre del 1860, 500 soldati piemontesi, al comando del maggiore Carrozzi che si aggiunsero ad altrettanti garibaldini.
 Le truppe piemontesi vengono subito duramente attaccate l'1 e il 3 dicembre 1860 dalla gendarmeria reale del Capitano Giovane e dalle bande armate dei contadini, appoggiati dal fuoco dell'artiglieria della fortezza che cerca di rompere il blocco degli assedianti. 
A questo punto, per regolare la partita con Civitella, da Torino viene mandato il Generale Ferdinando Pinelli, comandante supremo degli Abruzzi, alla guida di tre compagnie di bersaglieri, una di fanteria e dieci nuovi cannoni di ultima generazione. Il 6 dicembre Pinelli mandò un ultimatum di resa alla fortezza, ma senza esito, anche perché era nota la fama del generale piemontese che non avrebbe lasciato in ogni caso in vita i soldati duesiciliani.
Iniziarono 15 giorni di cannoneggiamenti sulla fortezza di Civitella, interrotti il 21 dicembre da una sortita offensiva degli uomini di Giovane che eliminarono il presidio piemontese che bombardava da vicino la fortezza dalla Chiesa di Santa Maria dei Lumi.
Gli attacchi di alleggerimento difensivo continuarono da parte degli uomini della fortezza fino al 12 gennaio, allorché i Piemontesi furono addirittura costretti a chiedere un cessate il fuoco che fu respinto dagli uomini barricati a Civitella, galvanizzati dalla promozione di un grado per tutti fatta pervenire da Francesco II che promosse Giovane a colonnello.
 
I primi di febbraio 1861, Torino decise di avvicendare Pinelli, i cui metodi erano ritenuti troppo severi, con un ex generale duosiciliano passato all'esercito sabaudo, Luigi Mezzacapo (disertore nel 1848). 
Luigi Mezzacapo ricevette in dotazione dei nuovi cannoni a canna rigata per avere la meglio sugli uomini della fortezza.
Il 13 febbraio, avvenne la svolta che favorì Mezzacapo in una battaglia che vedeva assolutamente perdenti le forze piemontesi, ossia la resa di Gaeta con la fuga a Roma del Re Borbone e la conseguente ennesima richiesta di resa rivolta agli assediati di Civitella che portò solo all'abbandono della piazzaforte il giorno 16 del Colonnello Giovane, del maggiore Salinas, di altri ufficiali minori e di pochi uomini. 
Giovane, fedele al Re Borbone, vide nella capitolazione di Gaeta la fine del suo compito e il 17 scrisse una lettera al comandante Ascione pregandolo di firmare la capitolazione della fortezza che convinse l'anziano ufficiale che però fu travolto dall'insurrezione dei circa 300 uomini rimasti a resistere nel forte, costringendo anche Ascione a lasciare Civitella.
Il comando generale a questo punto fu affidato al maggiore Raffale Tiscar, mentre quello operativo di fatto al tenente dell'artiglieria Santomartino che rispondeva con i cannoni ai colpi dei Sabaudi e al sergente Messinelli che si occupava delle sortite offensive che prima erano affidate prevalentemente ai gendarmi di Giovane. 
I soldati, informati delle conseguenze patite dai colleghi a Gaeta che erano stati deportati, non volevano assolutamente arrendersi e non credevano nella resa del Sovrano che continuò a combattere in realtà, a distanza, fino alla occupazione di Roma da parte dei bersaglieri nel 1870 col suo governo in esilio presso la Santa Sede.
Da quel momento, iniziò più di un mese di ininterrotti bombardamenti e non valse nemmeno l'invio del generale Della Rocca da parte di Francesco II per far cedere la truppa assediata a Civitella che attese il 20 marzo 1861 per alzare bandiera bianca a qualsiasi condizione, salvo la vita degli uomini, approfittando del fatto che il Sergente Messinelli era uscito in una sortita offensiva con un nutrito numero di soldati.   
Fu il maggiore Raffaele Tiscar, a cui è stato dedicato il museo dentro la fortezza di Civitella del Tronto, ad avere l'ingrato compito di firmare la capitolazione della piazzaforte, ritenendo assolto il suo compito di soldato fedele alle duesicilie, dopo la proclamazione ufficiale del Regno d'Italia tre giorni prima. 
Il sergente Messinelli e altri irriducibili furono posti agli arresti per poi essere fucilati in attesa dell'arrivo del Mezzacapo che entrò nella fortezza di Civitella del Tronto il 22 marzo 1861.
 
Due principi di nazionalità che si scontrano nel Risorgimento 
 
Questa è la storia degli eroi dimenticati di Civitella del Tronto che combatterono per un principio nazionale fatto di usi, costumi, tradizioni plurimillenarie che si è scontrato contro il principio di nazionalità giuridico, astratto e borghese, tipico dello Stato centralizzato dei Savoia, innaturale per una Nazione che fin dalla sua fondazione politica con Ottaviano Augusto nasce come decentrata amministrativamente.
 
Conclusioni

 Sarebbe stato sicuramente più confacente all'Italia uno Stato nato dall'unione dinastica di più dinastie sovrane come avvenuto ad esempio nel Regno Unito di Gran Bretagna,  dove i singoli regni mantengono i loro parlamenti e le loro istituzioni locali.  Una situazione analoga a quella anglosassone è sorta ancora prima in Spagna. Non a caso Gran Bretagna e Spagna sono entrambe nazioni invertebrate come l'Italia, unificate molto prima,  ma molto più giovani come nazione di quella italiana se la si considera nata in epoca romana. 
Tutto ciò, avrebbe evitato in Italia i gravi problemi di ordine pubblico sorti negli anni post unitari e l'utilizzo delle risorse sprecate nella guerra civile nel meridione d'Italia per avviare prima la conquista delle città irredente di Trento e Trieste e/o la formazione di colonie italiane. In ogni caso, saremmo stati così sicuramente un popolo meno diviso di quello che siamo oggi.
 
Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia
 
Nella foto la Fortezza di Civitella del Tronto vista dalla vicina collina di fronte da cui veniva cannoneggiata.
 
 
 
 
 

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