(“Una musica da vedere: tra sacro e profano” - Roma, 14 - 24 aprile 2016)
(ASI) ROMA – Si apre a Roma giovedì 14 aprile, alle ore 18, all’Accademia di Romania in Piazza José de San Martin 1, la retrospettiva del maestro Constantin Udroiu (1930-2014): Una musica da vedere.
Tra sacro e profano. L’esposizione, che resterà aperta fino al 24 aprile, è un omaggio alla memoria del grande Artista, uno degli intellettuali rumeni che in Europa ha rappresentato al meglio la cultura del suo Paese d’origine. All’inaugurazione della mostra interverranno S.E. Dana Constantinescu, Ambasciatore di Romania in Italia, S.E. Bodgan Tataru-Cazaban, Ambasciatore di Romania presso la Santa Sede, il prof. Mihai Barbulescu, direttore dell’Accademia di Romania in Roma. La presentazione critica dell’esposizione è affidata ai prof. Dan Pineta e Claudio Zambianchi. L’evento, promosso dall’Accademia di Romania e dall’Associazione Nikopeia, ha il patrocinio delle Ambasciate di Romania in Italia e presso la Santa Sede, dell’Accademia Internazionale d’Arte Moderna e della Municipalità di Fara in Sabina.
Il titolo racchiude i termini del percorso seguito dall’Artista in decenni di attività appassionata. Legato alla tradizione dell’arte sacra rumena - dalle icone su legno e vetro agli affreschi monumentali - Constantin Udroiu è insieme artista contemporaneo che trova la sua cifra nel tratto pittorico e in esplosivi accordi coloristici. Infatti da un lato egli stesso si dichiarava espressionista, dall’altro i critici hanno parlato del “concerto” dei suoi colori come “musica da vedere”. Constantin Udroiu affianca alla pittura sacra e profana una straordinaria produzione di grafica. Anche in questo campo è un Maestro completo: disegnatore, incisore e stampatore, lascia una serie rilevante di xilografie e incisioni ad acquaforte e acquatinta che contribuiscono a definirlo artista dallo spessore rinascimentale. Questo nell’Arte il suo Credo: Considero il Bizantino Rumeno come il principale punto di partenza per un pittore rumeno. L’arte senza un obiettivo è un postulato illusorio che non accetto. La metafora si sostituisce alla concretezza nell’ordine delle astrazioni, è lo strumento che riflette istantaneamente il concreto.
Sull’arte di Constantin Udroiu saggisti e critici d’arte, un lungo elenco, hanno scritto annotazioni e recensioni di rilevante interesse. Una messe di giornali e riviste, in Italia e all’estero, hanno decritto nel corso degli anni la sua arte e raccontato le sue mostre, sempre cenacoli di dialogo tra culture. Sarebbe lungo darne conto. Tuttavia, credo che questo lacerto d’una presentazione critica di Lorenzo Renzi riesca a dare, sinteticamente, il senso del valore e la profondità dell’arte di Constantin Udroiu. “[...] Per il modo in cui dipinge – ha scritto Lorenzo Renzi, in una sua nota critica – Constantin Udroiu si avvicina, per sua stessa ammissione, agli Espressionisti tedeschi (Marc, Macke, Kirchner, ecc.). Da loro Udroiu riprende i colori dissonanti, puri, fortemente irrealistici. Il nero (con il blu) serve a rilevare le sagome delle figure. A differenza che negli Espressionisti tedeschi, il disegno in Udroiu resta accurato, frutto della fedeltà alla scuola: le pareti non vacillano, i campanili non si abbattono sui campi di grano. Per chi conosce poi la pittura rumena della prima metà del Novecento, è chiaro che per la pittura di Udroiu non contano solo gli Espressionisti tedeschi, ma che ci sono in lui anche gli echi di Luchian, Tonita, del grande Tuculescu. La scuola di Constantin Udroiu è stata la scuola di arte sacra fondata dal grande storico e uomo politico Nicolae Iorga, in Romania negli anni ’20, con l’idea di mantenere in vita la tradizione dell’arte ortodossa di origine bizantina, in particolare quella dell’affresco. Constantin Udroiu, quando può, fa rinascere in Italia quell’arte che aveva imparato, e che forse è rimasto l’ultimo a conoscere. A Benevento, a Matera, ad Airola, a Vitulano, a Faicchio, ecc., gli sono state affidate grandi pareti di chiese, chiese cattoliche naturalmente, da coprire di affreschi. E’ fedele ai canoni pittorici bizantini (li rispettavano ancora Giotto e Simone Martini). La sua pittura religiosa, - conclude Renzi - ancorata alla tradizione, vince spesso la scommessa di riuscire nel suo impegno artistico ed evocativo, scommessa difficilissima come si sa, perché l’arte moderna sembra sia altrettanto inevitabilmente profana quanto quella del passato era religiosa. Se Constanti Udroiu fa eccezione, lo si deve ancora una volta alla fedeltà alle sue origini. Constantin Udroiu, rumeno di Roma, ma anche e soprattutto rumeno di Romania”. Molto significativa ed illuminante la testimonianza che ci ha rilasciato Luisa Valmarin Udroiu, già direttore di Dipartimento di Studi Romanzi all’Università di Roma “La Sapienza” e moglie dell’Artista, e che qui di seguito, con il suo consenso, pubblichiamo.
«Ho conosciuto Constantin nel marzo 1975 a Parigi, dove ero andata per seguire alla Sorbona un convegno sul poeta Mihai Eminescu. Da allora non ci siamo più lasciati. Le nostre vite si sono intrecciate portando a ciascuno di noi gli interessi dell’altro, fino ad una totale compenetrazione di pensieri, ideali, aspirazioni. Non abbiamo avuto una vita facile: le nostre attività, artistica la sua, universitaria la mia, ci hanno spesso separato fisicamente ma, per contro, ci hanno straordinariamente avvicinati sul piano spirituale. Così, Constantin ha da sempre condiviso gli interessi dei miei studi, attraverso cui riusciva a vivere ancora immerso nella sua cultura di origine e nelle pieghe di una letteratura di cui era straordinario conoscitore e degustatore. Fin dall’inizio mi ha accompagnata a convegni e congressi grazie a cui poteva stabilire e mantenere un rapporto vivace e brillante con le personalità, talora di grande rilievo, con cui entrambi avevamo l’occasione di venire in contatto. Allo stesso tempo, ho cominciato – quando mi era possibile – ad accompagnarlo alle mostre accanto alle quali, spesso, organizzava per me delle conferenze attraverso cui presentare la letteratura ed il folklore rumeno ad un pubblico per il quale, negli anni ’80-’90, la Romania era ancora un paese lontano, non ben definito...
In tal modo, le nostre vite hanno preso a intrecciarsi anche al di fuori del piano strettamente affettivo e familiare. Constantin è diventato un collaboratore prezioso e insostituibile anche nella mia vita accademica: sempre vicino a me e alla mia cattedra nell’organizzare convegni, realizzando splendide xilografie come locandine o come copertine per Romània Orientale, la rivista della cattedra. Si è fatto coinvolgere dalla sua passione per la letteratura fino a realizzare in xilografia un centinaio di ritratti di scrittori e artisti rumeni che ha esposto globalmente nel dicembre 1998, in quella che è stata l’ultima attività realizzata da Marian Papahagi come direttore dell’Accademia di Romania in Roma. Non saprei parlare della sua arte se non per dire che i colori smaglianti e assolati dei paesaggi italiani hanno riempito i suoi occhi per trasferirsi in quadri vigorosi e brillanti, quasi frutto del suo “sentirsi” sardo o abruzzese, come gli amici più cari, Nicola e Goffredo; del suo sentirsi figlio del sud, di quel sud che ha conosciuto e amato come il proprio paese e in cui con le sue opere monumentali ha lasciato il ricordo vivo del suo passaggio.
Non saprei parlare della sua arte se non per dire che l’ha sempre vissuta come parte di sé attraverso cui far decantare il dolore di una vita di sofferenza: la dura detenzione subita in gioventù e poi, una volta tornato in libertà, il conseguente disprezzo alternato all’invidia dei suoi confratelli in Romania; la lacerazione del distacco dalla famiglia, dalle sue bambine, dagli amici, dalla patria; la difficoltà di imporre la propria arte in un paese estraneo e non di rado respingente, senza compromessi o deviazioni dai propri principi, etici e artistici. Anni e anni di lotte e solitudine, ma anche di straordinaria forza vitale, ottimismo e soprattutto generosità. Così, i suoi ricordi diventavano il racconto di una vita impagabile, nel bene e nel male: dalle memorie sconvolgenti di quando parlava di Aiud o Poarta Alba agli episodi giovanili, avventurosi come quando accompagnava Gh. Vanatoru a realizzare affreschi monumentali. Del resto, la passione per la pittura sacra monumentale, di cui aveva imparato a padroneggiare la tecnica proprio grazie agli insegnamenti di Vanatoru, gli ha consentito di realizzare opere di straordinario valore nel centro e nel sud dell’Italia, di quell’Italia dove la tecnica della pittura “a fresco” ormai è un ricordo del passato. È una serie di affreschi sacri e profani che culminano in due opere maestose: la Sagra del maggio, antichissima festa popolare immortalata sulla facciata del Comune di Accettura in Basilicata, nel 1976-7, e l’Ultima cena dipinta nel Seminario nuovo di Benevento e inaugurata dal papa Giovanni Paolo II nel 1990. La sua arte, dalla pittura all’incisione, si è parallelamente espressa ai massimi livelli anche nelle innumerevoli icone su legno, realizzate in perfetto stile bizantino, e nelle non poche icone su vetro, di stile popolare sì, ma da cui ha derivato una pittura profana particolarmente raffinata che è divenuta una delle cifre che caratterizzano il suo stile.
Il suo entusiasmo, la sua gioia di vivere, malgrado tutto, la sua generosità lo hanno spinto a creare una scuola di pittura perché quanto aveva scoperto e sperimentato in tanti anni di lavoro non andasse disperso, ma venisse utilizzato e messo a frutto da altri più giovani e meno esperti. Così è nata la Scuola Nikopeia che Constantin chiamava “Fucina d’arte” dove a studenti giovani e meno giovani, oltre che a bambini, ha gratuitamente insegnato le tecniche della pittura e della xilografia lasciando un tesoro di suggerimenti e insegnamenti. La malattia lo ha colto mentre preparava una mostra in omaggio all’Umbria che intendeva portare a Perugia e che provvisoriamente è stata esposta all’Accademia di Romania a Roma nel dicembre 2013. Pochi mesi dopo la sua scomparsa, grazie all’amicizia e all’interessamento di Bogdan Tataru Cazaban, ambasciatore presso la Santa Sede, che ha coinvolto il cardinale Bassetti, arcivescovo di Perugia, la mostra si è aperta nel Museo della Cattedrale, realizzata come l’aveva progettata Constantin: con le sue opere e quelle degli studenti più avanzati della sua Fucina d’arte. Si è concluso così il ciclo della sua attività, ma non la vitalità della sua arte che resta come eredità preziosa per le nuove generazioni in Romania e in Italia, ambedue sue patrie, ugualmente amate e consacrate nella sua pittura».
Costantin Udroiu era nato a Bucarest il 3 febbraio 1930. Intellettuale di spicco della Romania, insegnava all’Università di Bucarest quando, nel 1954, venne arrestato dal regime comunista per dissidenza politica e condannato. Era un testimone vivente dei princìpi di libertà e di democrazia, affermati e pagati a caro prezzo con una condanna a 22 anni di prigione, sofferti con un decennio di dura carcerazione, fino al 1964, quando venne rilasciato a seguito del nuovo clima politico nei Paesi d’oltre cortina, dopo il XX Congresso del PCUS. Giunto in Italia per la sua prima mostra all’estero, nel 1971 a Sassari, inaugurata dall’allora Presidente della Camera Sandro Pertini, restò nel nostro Paese girando in lungo e largo le vie dell’arte bizantina, specie nel Meridione. Intensa la sua frequentazione dell’Europa – Svizzera, Francia, Spagna, Grecia, Olanda, Portogallo – dove ha portato con grande successo la sua produzione artistica ma anche la competenza accademica, partecipando a seminari e convegni promossi da prestigiosi atenei con proprie comunicazioni. Gran maestro dell’arte bizantina, Constantin Udroiu è stato uno dei più fecondi Artisti della diaspora romena che ha mantenuto nella sua opera un luogo centrale all’icona bizantina e alla propria romenità. Tra le sue mostre personali, oltre 200, moltissime in Italia - nel 1985 a L’Aquila la sua 99^ mostra, al Castello cinquecentesco, memorabile -, le più significative all’estero sono state a Parigi, Lutry, Avignon, Amsterdam, Bordeax, Carpentras, Atene, Barcellona, Lisbona e, dopo la caduta del regime comunista in Romania, a Targoviste e Cluj Napoca. Le sue opere sono esposte nei musei di molte città in Romania, Francia, Portogallo e Italia, e in numerose collezioni pubbliche e private in diversi Paesi del mondo. La Romania democratica lo ha risarcito con una rilevante considerazione artistica e personale, manifestata con la presenza dell’Ambasciatore in tutte le mostre che ha tenuto in Italia. Era membro del Senato dell’Accademia Internazionale d’Arte Moderna.
Da alcuni anni Constantin Udroiu, era andato da Roma a vivere in Sabina, a Passo Corese (Rieti), dove in collaborazione con il Comune aveva aperto la Scuola Nikopeia, centro di formazione artistica senza scopi di lucro dove il Maestro ha insegnato gratuitamente le tecniche pittoriche ad una sessantina di allievi. Fino alla scomparsa, avvenuta a Roma il 26 marzo 2014. Ma la Scuola Nikopeia ha continuato e continuerà a vivere, con l’impegno degli allievi della sua bottega d’arte. Grande emozione ha destato in Romania la scomparsa dell’Artista, nel mondo culturale ed accademico. Tanto che una grande Mostra di opere grafiche - xilografie, incisioni ad acquaforte e acquatinta - si è tenuta nel Museo Etnografico di Cluj Napoca, in Transilvania, dal 15 al 30 ottobre 2015 per ricordare l’Artista insigne e l’intellettuale illuminato. Dunque, anche questo importante evento presso l’Accademia di Romania si connota come un forte tributo d’onore dell’Artista della sua terra natale. Constantin Udroiu è stato un grande amico dell’Aquila, dove aveva tenuto importanti esposizioni: la prima volta nel 1985, con la sua 99^ mostra nella Sala Elephas del Castello Cinquecentesco, poi una mostra nel 1989 a Paganica (L’Aquila) per inaugurare il Centro Civico, una terza all’Aquila a Palazzo Antonelli Dragonetti, nel 2000. Ma anche altre importanti esposizioni aveva tenuto in Abruzzo: all’Annunziata di Sulmona, al Castello Piccolomini di Capestrano, al Centro civico di Villetta Barrea. La grande icona “Madonna dell’Amore”, donata nel 1985 dall’Artista al Comune dell’Aquila, ha illuminato con il suo oro zecchino la Sala della Giunta di Palazzo Margherita d’Austria fino a quel tragico 6 aprile del 2009.
Goffredo Palmerini