(ASI) Per esercitare in Italia, i camici bianchi di altri Paesi devono affrontare un percorso, che è di due tipi. Quello ordinario prevede per gli stranieri laureati in Italia l’iscrizione diretta all’Albo senza test di italiano ma con il permesso di soggiorno, e per i medici provenienti e formati invece all’estero il riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione medica da parte del ministero della Salute con decreto, l’esame di lingua italiana e infine l’iscrizione all’Albo.
Oppure c’è il piano straordinario introdotto nel 2020, in piena pandemia, dal governo Conte in collaborazione con l’Amsi e attraverso il decreto «Cura Italia», proprio per arruolare medici nel più breve tempo possibile. Affida il riconoscimento dei titoli in deroga alle Regioni, così i camici bianchi possono iniziare a lavorare subito, non dopo l’anno richiesto dal superamento dell’iter ordinario. Infine, chi non ha la specializzazione può esercitare nei laboratori analisi e nei centri di fisioterapia, coprire le guardie mediche e turni nelle Rsa, come previsto per i medici italiani in possesso solo di laurea e abilitazione.
Strutture e servizi a rischio. «Ci dispiace vedere che la situazione in cui operano i sanitari in Italia è diventata molto difficile, con la conseguenza di una loro fuga sia dal sistema pubblico sia verso l’estero — dichiarano i vertici di Amsi. Da anni proponiamo di risolvere le problematiche di tutti, attraverso la valorizzazione professionale, salari adeguati e sicurezza sul lavoro, ma non siamo stati ascoltati in tempo dalla politica. Se questa emorragia continua e si aggiunge ai pensionamenti, entro il 2025 rischiano la chiusura 220 tra piccoli ospedali e Dipartimenti, la metà dei quali in area emergenza-urgenza. Poi ci sono i reparti di Anestesia e Rianimazione e le sale operatorie, in forte sofferenza per mancanza appunto di anestesisti. Un pericolo collegato anche al crollo del 50% degli studenti stranieri in Medicina — aggiunge Aodi — fenomeno sul quale potrebbe incidere l’aumento di discriminazioni e pregiudizi». Di questi 220 presìdi in bilico, 25 si trovano nel Veneto. «Lanciamo un appello affinché governo, Regioni, Fnomceo, Amsi e sindacati s’impegnino a trovare insieme soluzioni percorribili, anche se siamo già in ritardo».
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia