Un approccio nuovo, ma basato su metodi antichi. Non ancora riportato sui manuali medici, eppure di efficacia scientificamente dimostrata per i pazienti affetti da Alzheimer che hanno perso i contatti con il mondo esterno a causa dei gravi disturbi cognitivi che li hanno colpiti.
Un’apparecchiatura mobile per riprodurre funzioni sensoriali che aiutino i soggetti anziani con problemi di adattamento o di non riconoscimento o di apatia verso l’ambiente in cui si trovano.
Si chiama “Snoezelen”, l’ha donata il Rotary Club di Perugia Est alla Struttura Complessa di Geriatria dell’Ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Perugia, diretta dalla professoressa Patrizia Mecocci. La Snoezelen è stata presentata nel corso di un incontro cui erano presenti, oltre Mecocci, anche il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, dr. Walter Orlandi, ed il Presidente del Rotary Perugia, prof. Paolo Latini.
“Quella di Perugia, ci dice la professoressa Mecocci, è una delle prime esperienze a livello ospedaliero in Italia (la più nota è quella del Sant’Orsola a Bologna), mentre queste tecniche sono già più diffuse in strutture residenziali per anziani non ospedaliere”.
L’apparecchiatura riproduce, verrebbe da dire come una scatola magica, una serie di tecniche di stimolazioni multisensoriali che possono essere attivate al letto del paziente. In altri contesti, dotati di maggiori spazi, queste tecniche vengono riprodotte in stanze appositamente dedicate e consistono, ad esempio, in pareti colorate o con acqua che si muove, in tubi a bolle e in fasci di fibre ottiche che possono essere toccate e anche modificate nel loro colore dai pazienti, per la stimolazione ottica; cuscini vibratili o realizzati con materiali tessili diversi per al stimolazione tattile; proiettori di scene e immagini evocativi di scene di vita agreste; diffusori di musica o suoni di vario genere per stimolare l’udito.
Sia che si tratti di spazi ampi, sia che si tratti dell’apparecchio di cui ora è dotata la struttura di geriatria di Perugia, la finalità è la stessa: per quanto possibile, riarmonizzare con l’ambiente, il paziente con le sue specificità personali. “Le tecniche di stimolazione multisensoriale, spiega Mecocci, aiutano ad approcciare il paziente non come una patologia, ma come un individuo che ha una patologia e, quindi, con maggior rispetto per la sua personalità e la sua storia”.
Così, visto che la demenza si esprime in modo diverso in ciascun soggetto in relazione alla sua storia personale, le tecniche multisensoriali aiutano a creare l’abito su misura. Per esempio, servono a distogliere e calmare il paziente agitato perché non riconosce l’ambiente ed è diventato aggressivo; o, viceversa, ad attivare l’attenzione nel paziente apatico ed inane o quello che rifiuta il cibo.
Il tutto, con il fine di diminuire l’impiego dei farmaci e psicofarmaci, integrando le terapie farmacologiche con le tecniche di stimolazione dei sensi.
Si può dire che è un ulteriore varco che si apre nella direzione di una medicina più umanizzata, in cui molto crede la professoressa Mecocci, per la quale la dotazione della “Snoezelen” è un punto di partenza.
Infatti, sta già programmando per settembre una giornata di studio con gli Operatori sanitari e con le Associazioni dei malati e dei familiari dei malati di Alzheimer. “Perché, spiega, è importante che gli operatori siano informati su come le tecniche di stimolazione multisensoriale possano e debbano usate secondo piani e prospetti psicologici studiati appositamente per ogni singolo paziente”.
Per novembre, poi, sempre in tema, è già programmato un corso aziendale sul “delirium”, cioè lo stato confusionale acuto in pazienti anziani dopo traumi da interventi chirurgici. E la Direttrice della Struttura di Geriatria già pensa di promuovere una ricerca strutturata sull’incidenza che l’impiego delle tecniche di stimolazione sensoriale potrebbe avere nell’indurre una diminuzione dell’uso dei farmaci nei pazienti trattati.