Forse sarà più un riformatore che un rivoluzionario, Francesco I, il Papa venuto dai confini della Terra con l’umiltà di chi è abituato a veder la vita con gli occhi di chi soffre e deve fare i conti con i tanti piccoli e grandi problemi quotidiani della vita. Ma il solo fatto che abbia scelto quel nome (sicuramente con riferimento a Francesco d’Assisi e non, come qualche commentatore pure ha ipotizzato, peraltro timidamente, a Francesco Sales, figura di spicco del mondo gesuita da cui pure Jorge Maria Bergoglio proviene) apre di per sé scenari, prospettive e speranze inediti di riforma. Potenzialmente così inediti da essere in qualche modo, nella situazione attuale della Chiesa e del mondo, “rivoluzionari”, un po’ nel senso in cui è rivoluzionario il messaggio evangelico rispetto alla cultura del conflitto senza dialogo, del potere che è sfruttamento e non servizio, del profitto senza solidarietà, della condanna senza comprensione.
La stampa argentina ha ricordato, tra i tanti altri, un episodio che risale a pochi mesi fa. L’allora Cardinale Bergoglio si scagliò contro alcuni preti della sua diocesi di Buenos Aires che contestavano il battesimo ai figli delle ragazze madri, più o meno con queste parole: “ipocriti, voi siete i pastori che allontanano la Chiesa dal suo popolo!”. Parole forti e chiare, che testimoniano come per il nuovo Pontefice l’evangelizzazione deve essere inclusiva e non esclusiva di tutte le emarginazioni. Come Francesco d’Assisi andò ai poveri, ai lebbrosi, agli esclusi dalla vita civile, così Francesco Vescovo di Roma sembra avere nel cuore la propensione ad andare verso gli ultimi e gli emarginati, anche gli emarginati dalla Chiesa, perché la parola di Dio è per tutti. Padre Ludovico Melo, confessore della Basilica di Santa Maria Maggiore, dove il Papa si è recato stamattina per la sua prima uscita dopo l’elezione, ha detto di avere visto in Bergoglio “la semplicità, la spontaneità e la paternità del Santo d'Assisi, che non ha mai avuto paura e, parlando agli umili e ai sovrani, ha portato le parole di Dio a tutta la gente".
Il Papa che nella sua Baires si muoveva coi mezzi pubblici, aveva ballato il tango in gioventù e tifava per la squadra del San Lorenzo (quartiere della capitale argentina) sembra avere le carte in regola per spalancare le finestre della Curia romana e farvi entrare aria nuova. Sarà, qualcuno preconizza, un Papa ”anticlericale”, nel senso che farà molto affinché la “struttura”, l’apparato, le logiche di potere temporale della Chiesa-istituzione non soffochino più oltre la Chiesa-comunità, la sua capacità di stare umanamente tra gli uomini, tutti, fedeli e non; di essere ricchezza e speranza per l’umanità intera piuttosto che avere ricchezze materiali e onorificenze di potere, inevitabilmente corruttrici della propria natura.
Potrebbe essere, secondo alcuni, l’agognato ritorno ad una Chiesa più francescanamente povera: se anche fosse solo l’indicazione di una tendenza verso cui andare (tra inevitabili difficoltà e resistenze e, perciò, con esiti e risultati incerti o magri) purtuttavia l’importanza della novità di questo Papa è già consegnata alla storia. In un’epoca di crisi mondiale, non solo economica, che sembra ridisegnare gli equilibri tra aree geografiche e poteri mondiali, con incertezze e ansie sociali ed individuali sul futuro di tutti e specialmente delle nuove generazioni, questo Papa è un segno di speranza.
Speranza individuale e collettiva, speranza degli ultimi di non essere lasciati da soli, speranza degli emarginati dalle rigidità dottrinarie di vedersi aperto uno spiraglio di dialogo sincero e di comprensione senza condanne a priori. “Voi siete i confessori - ha detto il Papa rivolto ai parroci di Santa Maria Maggiore - quindi siate misericordiosi verso le anime, ne hanno bisogno”.
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