(ASI) “Non credevamo ai nostri occhi. Io sono indignata dall’operato di chi ha fatto la perizia (…) come si può agire con tanta indifferenza, è una vergogna”. Sono le parole di Claudia Budroni, che così commenta la restituzione della macchina di suo fratello Dino alla famiglia.
Dino Budroni è stato ucciso all’alba del 30 luglio 2011, alla fine di un inseguimento in auto sul Grande Raccordo Anulare di Roma, dal colpo di pistola esploso dall’agente agente di Polizia Michele Paone, rinviato a giudizio per omicidio colposo il 19 dicembre scorso.
Per i familiari e gli amici era apparso subito chiaro che Dino era morto in circostanze poco chiare: orari che non coincidono, incongruenze nelle perizie, testimonianze discordanti. E ora anche quello che, da una famiglia già duramente provata per un lutto incomprensibile, viene vissuto come un nuovo abuso.
Per Claudia Budroni, suo fratello è stato “di nuovo moralmente colpito” dalla scarsa, se non nulla, attenzione riservata dai periti alla sua automobile, tornata ai suoi familiari con gli sportelli divelti e danni incomprensibili.
“Esistono cacciaviti per togliere delle semplici viti!” fa osservare Claudia mostrando le foto della Focus di Dino, che per i suoi familiari, comprensibilmente, non è solo un oggetto ma un filo che li tiene ancora legati a questo figlio e fratello morto a causa di una vicenda piena di ombre.
Una storia “inverosimile, come inverosimili sono i comportamenti di tutti gli attori di questo assurdo film”, ha dichiarato Claudia. Il processo all’agente di Polizia che ha sparato inizierà il 1 ottobre del 2013.
Alessia Lai – Agenzia Stampa Italia