(ASI) Riceviamo e Pubblichiamo - Con la morte di Pippo Baudo si è chiusa definitivamente la stagione dei cosiddetti "Moschettieri della TV": dopo Tortora, Corrado e Mike, anche Pippo è venuto a mancare e, con loro, la TV generalista della Prima Repubblica. Quella, per intenderci, dal volto buono, che entrava nelle case degli italiani in punta di piedi, rassicurava e aveva anche la pretesa di educare e alfabetizzare, oltre che svagare.
Era dunque una televisione rigidamente di sistema, con pochi canali ma molti contenuti, non scevra tuttavia da corruttele e favoritismi, come nel più classico cliché italiano che si rispetti.
A tal riguardo voglio ricordare come la fortuna del Baudo nazionale sia stata legata non solo al suo indiscusso talento e alla capacità di scoprire a sua volta nuovi talenti, ma anche al fatto di essere ben inserito all'interno del sistema politico dell'epoca, dove la RAI – oggi come allora – era lottizzata.
Nello specifico, il presentatore catanese – durante il proprio esordio in Rai, nel 1959 – era vicino alla corrente dorotea (Rumor, Colombo, Forlani, Piccoli), che allora dominava in via Teulada. Ma fu solo negli anni '80, con la nascita delle TV commerciali e in particolare della Fininvest, che attaccava il monopolio della RAI, che Baudo si spostò verso la corrente demitiana, cioè verso la cosiddetta "Base", l'area che proveniva e proseguiva l'esperienza di Donat-Cattin, Granelli e Pastore.
Erano anche gli anni in cui nasceva il Drive In di Antonio Ricci, programma satirico andato in onda su Italia 1 tra il 1983 e il 1988, nel pieno del potere craxiano, che prendeva di mira in ogni puntata sia Pippo Baudo che Ciriaco De Mita.
Il primo era rappresentato come un grosso coniglio rosa, tenero e buonista, che quando si emozionava esclamava la famosa battuta: "Pippo! Pippo! Pippo!", parodia del suo finto buonismo. La seconda scenetta, per mettere alla berlina il conduttore siciliano, era "Anche i Baudi piangono", dove Gianfranco D'Angelo interpretava sia Pippo Baudo che Katia Ricciarelli, intenti ad allevare parrucchini (si vociferava infatti che Baudo ne portasse uno). La terza scena, invece, rappresentava un De Mita agghindato da antico greco della Magna Grecia che, con un marcato accento di Nusco, cantava strimpellando una lira. La parodia era semplice: i demitiani, tra cui il Ministro Goria, avevano spesso incarichi collegati ai ministeri delle Finanze e dell'Economia, e quindi erano ritenuti responsabili della svalutazione della lira. Era dunque un attacco diretto a quei personaggi che fronteggiavano l'ascesa del gruppo Fininvest.
Infatti, la cosiddetta "Base", proprio in quegli anni, aveva preso il timone dello scudo crociato e si opponeva alle aperture di Bettino Craxi verso il gruppo Berlusconi. Vuoi per la storia d'amore che all'epoca intercorreva tra Marina Berlusconi e Bobo Craxi, vuoi per il sostegno economico del gruppo Fininvest alla causa del socialismo milanese, fatto sta che subito dopo la caduta del Governo De Mita, cioè nel 1989, il "cinghialone" nel 1990, rafforzatosi con la nascita del CAF (Craxi per il PSI, Andreotti per la destra democristiana e Forlani per il Centro democristiano), fece varare dall'allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, Oscar Mammì, una legge che per la prima volta sanciva il duopolio Rai-Fininvest, assegnando massimo tre reti a testa (Rai1, Rai2, Rai3 da una parte e Rete4, Canale5 e Italia1 dall'altra) e garantendo il segnale ai privati.
Erano anche gli anni in cui Baudo presentò 10 delle sue 13 edizioni del Festival di Sanremo e 7 stagioni di Domenica In, che lo resero una vera e propria celebrità nazionale, mettendolo ancora una volta nell'occhio della satira. Questa volta per mano di Pingitore, che nel 1992 lo caricaturò in "Gole ruggenti", interpretato da Pippo Franco. Qui, attraverso il personaggio di Paolo Galli – un conduttore tormentato e disilluso del Festival – si raccontano nervosismo, ingerenze politiche e produzione corrotta durante le prove, all'alba di Tangentopoli che di lì a poco avrebbe travolto il Paese.
Insomma, un personaggio, Pippo Baudo, che tra luci e ombre ha veramente scritto pagine importanti della storia della televisione italiana: dalla storica intervista a Moana Pozzi (1993), che ruppe diversi tabù, come quello di ospitare una pornostar in prima serata, al salvataggio dal suicidio del signor Pino Pagano durante la finale di Sanremo del 1995, fino al lancio dell'iconica frase: "L'ho inventato io!".
Un'icona italica che si rispetti – come per i più âgés lo è Albano Carrisi, Massimo Ranieri o Orietta Berti – non può non essere legata alla figura di Padre Pio. In questi giorni, a poche ore dalla sua scomparsa, spuntano come funghi le foto dei vari colleghi artisti e presunti tali con Superpippo. Non poteva mancare, dopo la scontata testimonianza del corregionale Fiorello – da lui peraltro lanciato – la riproposizione della sua intervista sul rapporto con Padre Pio. Una scelta inflazionata da parte di Mamma Rai, non certo per il valore del santo, quanto per la ripetitività necrologica della rubrica Techetechetè.
Così, come Alberto Sordi in "I nuovi mostri", nell'episodio del "Funerale del comico", commemorava il collega Formichella dicendo: "Tu... Formichella... con un solo sguardo, con un colpo d'occhio, riuscivi a far ridere il popolo... Ma adesso non potrai più... ci sono io!", allo stesso modo c'è chi, tra i vari operatori dello spettacolo, già pregusta di poterlo soppiantare. Così veniamo a sapere da un autorevole giornale che il "nuovo Baudo" potrebbe essere l'aitante Stefano De Martino.
Lorenzo Valloreja



