Dibattiti. Da Anchorage ad Ortona passa l’unica via italiana per la pace tra Russia e Ucraina

(ASI) Riceviamo e Pubblichiamo.

Il vertice lampo di Anchorage apre la strada a una soluzione storica: Ortona come luogo della pace definitiva.

Alla fine, il vertice di Anchorage, dalle sei ore tanto paventate, si è ridotto – come da noi pronosticato – a una riunione di meno di tre ore. Questo perché, come già spiegato nel nostro precedente comunicato, gli sherpa, cioè lo staff di Lavrov e quello di Rubio, nei mesi precedenti – all’insaputa dei media – avevano lavorato alacremente e già steso un canovaccio che doveva soltanto essere ratificato in Alaska.

Chiaramente restano delle limature da fare, riguardanti soprattutto gli interessi fondamentali dell’Ucraina. È per questo che Trump, un’ora e mezzo dopo la chiusura del summit, in un’intervista a Fox News, rivelando di aver parlato nuovamente in privato con il leader del Cremlino, ha affermato: «Il mio consiglio a Zelensky? Fai un accordo!». Ma quale sarebbe questo accordo, o meglio la clausola che lo stesso tycoon ha definito «un’unica grande cosa» su cui non si è trovato un punto d’intesa, senza però svelarne i contenuti, e che Zelensky dovrebbe sottoscrivere per chiuderla qui? Secondo me, non certo i territori. Al di là della retorica roboante dell’UE, tutti sanno che resteranno alla Russia. Piuttosto, si tratta di qualcosa di più politico e simbolico, come ad esempio lo scioglimento del Battaglione Azov e il relativo processo ai vertici e agli appartenenti a questa unità. Vale a dire la chiusura di quel corpo che richiama chiaramente alla simbolistica del Terzo Reich e a Bandera. Infatti, voglio ricordare a tutti che nello storytelling del Cremlino la lotta per la “denazificazione” dell’Ucraina è stata uno dei principali leitmotiv di tutta la campagna. Dunque, come potrà Putin parlare di vittoria al proprio popolo se non avrà elementi per dimostrare che anche questa volta la Russia ha “battuto i nazisti”?  

D’altronde, per chi ancora non l’avesse compreso, nonostante i nostri innumerevoli comunicati nei quali lo abbiamo già spiegato, i russi sono un popolo escatologico, che interpreta i fatti attuali alla luce della storia. In questo contesto, la simbologia conta più dell’economia e di ogni altro elemento mondano. Non è un caso dunque l’incontro, in Alaska, con l’arcivescovo Alexei della Chiesa ortodossa americana e l’enumerazione da parte di Putin di queste parrocchie durante la dichiarazione finale del summit: circa un centinaio, di cui 78 ortodosse russe, così come il conteggio dei toponimi di origine russa, circa 700. E il Presidente Putin, sempre nella dichiarazione finale, ha sottolineato come esista «ancora un immenso patrimonio culturale dell’America Russa», non fosse altro perché «durante la Seconda Guerra Mondiale, fu proprio qui in Alaska l’origine del leggendario ponte aereo per la fornitura di aerei militari e altri equipaggiamenti nell’ambito del Programma Lend-Lease. Era» – sottolinea Putin – «una rotta pericolosa e insidiosa sul vasto deserto di ghiaccio. Tuttavia, i piloti di entrambi i Paesi fecero di tutto per avvicinare la vittoria. Rischiarono la vita e diedero tutto per la vittoria comune». Ha ricordato poi i monumenti dedicati agli americani in Russia e quelli per i caduti sovietici in America, sottolineando come questo patrimonio aiuterà a ricostruire e promuovere relazioni reciprocamente vantaggiose ed equilibrate in questa nuova fase, anche nelle condizioni più dure. Segno questo, nuovamente, che la nostra candidatura di Ortona, negli Abruzzi, dinanzi alle ossa dell’Apostolo Tommaso e a quelle dei caduti della Campagna d’Italia, con la mediazione – oltre a quella del Presidente americano – anche del Papa e del Patriarca di Mosca, sia la soluzione migliore per sugellare non soltanto un accordo di massima, ma la pace definitiva tra la Russia e l’Ucraina. D’altronde anche Trump lo ha affermato: «Putin ha parlato molto sinceramente del suo desiderio di mettere fine alla guerra in Ucraina», e il leader russo ha sottolineato come si noti «la volontà dell’amministrazione statunitense e del Presidente Trump in prima persona di facilitare la risoluzione del conflitto ucraino, il suo desiderio di approfondire l’essenza e di comprenderne le origini».

Poi ha spiegato meglio: «Ho detto più volte che per la Russia gli eventi in Ucraina sono legati a minacce fondamentali per la nostra sicurezza nazionale. Inoltre, abbiamo sempre considerato e continuiamo a considerare il popolo ucraino – l’ho detto più volte – un popolo fratello, per quanto possa sembrare strano nelle condizioni attuali. Abbiamo le stesse radici e tutto ciò che sta accadendo per noi è una tragedia e un dolore profondo. Pertanto, il nostro Paese è sinceramente interessato a porre fine a tutto questo. Allo stesso tempo, siamo convinti che per permettere che l’insediamento sostenibile e a lungo termine dell’Ucraina e dei villaggi ucraini avvenga, tutte le cause principali della crisi devono essere eliminate. Tutte le legittime preoccupazioni della Russia devono essere prese in considerazione, e deve essere ripristinato un giusto equilibrio nel settore della sicurezza in Europa e nel mondo intero». Ma ha anche aggiunto: «Ci aspettiamo che Kiev e le capitali europee … non tenteranno di interrompere i progressi emergenti attraverso provocazioni o intrighi dietro le quinte». E quindi è normale che Mosca non voglia un semplice cessate il fuoco, non solo perché teme un’eventuale manovra che serva a far rifiatare l’esercito ucraino, o meglio i suoi alleati e mercenari (vedi i colombiani ammassati nel nord, ai confini con la Bielorussia), ma anche e  soprattutto perché non si fida della fallacità della democrazia americana: oggi c’è Trump, deciso a chiudere questo conflitto e a riportare la Russia nel campo occidentale, ma se tra due anni e mezzo dovesse ritornare un’amministrazione democratica sarebbe ancora così?

Certo che no! Ritornando alla storia, è stata proprio la triade Clinton, Obama, Biden a mirare in primis a declassare la Russia da potenza mondiale a potenza regionale e poi, alla lunga, a smembrarla. Con una pace vera e propria, anziché un semplice cessate il fuoco, questo disegno criminale, non dico che non possa mai ripartire, ma di certo sarebbe più difficile, perché, tra le clausole che sicuramente sono state concordate da entrambe le parti e non rese pubbliche, a mio modesto avviso deve esserci quella della smobilitazione dei missili nucleari NATO dall’Europa orientale … altrimenti quale sicurezza stiamo invocando? L’intesa, insomma – piaccia o non piaccia all’UE e alle cancellerie occidentali – c’è, ed è un qualcosa che va ben oltre un semplice riequilibrio di forze: le strette di mano, gli applausi del Presidente americano, il tappeto rosso, il viaggio insieme in macchina, Putin ospite degli americani che parla prima di Trump e per più tempo del tycoon non sono folclore, non sono show: sono il sintomo di un’intesa che potrebbe seriamente far decidere al Presidente Putin di tornare nel club degli occidentali … tutto chiaramente se gli altri partner la smettono di atteggiarsi a ciò che non sono e, soprattutto, se smettono con questa propaganda che ieri sera ha mostrato tutta la propria miseria. Ho sentito parlare di “un milione di morti russi” da parte di taluni presunti professionisti dell’informazione … ma costoro sanno che le forze armate russe, in tutte le sue componenti, contano solo un milione e mezzo di uomini e che, per arrivare a tre milioni, bisogna mobilitare i riservisti? Dunque, secondo costoro, se la Russia avesse perso un milione di soldati in Ucraina non sarebbe già collassata da tempo?

Ed invece, sempre secondo questa propaganda, l’esercito russo che era stato fieramente fermato, ora sappiamo – da ieri – che sta praticamente dilagando. Quindi le questioni sono due: o costoro credono di parlare con degli idioti, o le loro farneticazioni sono tanto grandi quanto il cachet d’ingaggio. Ebbene, prima finiranno queste bugie e prima potremo valutare la realtà per quel che è e agire di conseguenza. Nel mentre invito nuovamente la presidente Meloni a prestare ascolto alle mie parole e alla proposta di un vertice a Ortona: è l’unico modo per rimettere l’Italia in gioco prima che sia troppo tardi, in quanto «Se non sei al tavolo, sei nel menù». 

Presidente Lorenzo Valloreja, a nome dell'Associazione degli Italiani Amici della Russia

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