(ASI) «I motivi per cui i professionisti stranieri si tengono lontani dall’Italia sono diversi, secondo il segretario dell’Aaroi-Emac Alessandro Vergallo, anestesista agli Spedali Civili di Brescia. «Innanzitutto, a parità di condizioni in Germania o in Francia si guadagna circa il 50% in più», spiega.
«Poi ci sono maggiori rischi di contenziosi legali: da noi le cause sono più frequenti e l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo in cui si rischia un processo penale. Infine, la norma europea che fissa il riposo minimo per i sanitari da noi è applicata in modo rigido, e questo impedisce agli intensivisti di integrare l’attività ordinaria con quella aggiuntiva». Questi fattori non respingono solo i medici stranieri. «In parallelo c’è un’emorragia di medici italiani, soprattutto verso Francia, Germania e Regno Unito».
A queste condizioni di contesto si somma un’ulteriore barriera. Nei concorsi pubblici per i medici, nella stragrande maggioranza viene richiesta la cittadinanza italiana o quella di un paese dell’Ue. E questo taglia fuori un gran numero di professionisti, che da noi non hanno speranza di fare una carriera nella sanità pubblica. In altri paesi, oltre alla mobilità interna all’Ue, si attirano medici da Paesi più lontani. Nel Regno Unito, quasi la metà dei medici stranieri proviene dal subcontinente indiano. In Francia c’è un importante contributo da Medio Oriente e Nordafrica. La Germania richiama molti medici formati nei Paesi dell’ex-Urss.
Da noi in realtà i medici ci sarebbero, ma sono tenuti ai margini dalle prassi seguite nel reclutamento. «Ci sono circa 77 mila operatori sanitari stranieri in Italia, di cui 22 mila medici» spiega Foad Aodi, medico di origine palestinese e segretario dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi). «Sono tutti iscritti agli ordini professionali, ma solo l’8-10% accede a posti di lavoro pubblici». In realtà, le leggi italiane non prevedono limiti alla cittadinanza dei sanitari. Il testo unico sul pubblico impiego del 2001 pone vincoli solo sulle professioni che riguardano la sicurezza nazionale. Il decreto «Cura Italia» emanato nel marzo 2020 per far fronte all’emergenza va anche oltre, perché ammette esplicitamente alle dipendenze della sanità pubblica «tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare».
Il decreto però è stato ignorato nella grande maggioranza dei casi. Ospedali e Aziende sanitarie hanno preferito mantenere il vincolo europeo per le assunzioni di operatori sanitari. O quello contenuto in un Dpcm del 1994 dichiarato illegittimo ma mai superato, che riserva le posizioni dirigenziali (come quelle dei medici ospedalieri) ai soli cittadini italiani, escludendo perfino quelli europei. Non tutte le regioni, però, hanno applicato le norme protezionistiche. Prima del Lazio, anche Umbria e Piemonte hanno aperto i concorsi ai medici di ogni nazionalità dopo le proteste. Ma l’intrico delle leggi sembra fatto apposta per respingere».
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia