(ASI) Lettre in Redazione. Roma - Per chi pensa che l’immigrazione tunisina verso l’Italia non porti nulla di buono, facendoci vedere solo un campione di questi immigrati che commettono delitti, freni la nostra evoluzione e crei solo problemi.
Il grado d’istruzione dei tunisini arrivati in Italia è, nel complesso, piuttosto elevato, considerando il flusso di laureati tunisini entrati nella penisola dall’inizio della rivoluzione tunisina a oggi.
La quota dei tunisini fino al 2009 possiede un titolo di studio fino alla licenza media una percentuale che sfiora il 35%, il 38% ha un diploma di scuola superiore e, il 3,3% ha una laurea. Oggi dopo la fuga degli ultimi due anni e, specialmente dopo la rivoluzione, il 41,7% ha la licenza media, quasi il 35% che ha un diploma di scuola superiore e, il 15,4% ha una laurea.
I dati che non sono ufficiale, pero sono basati su alcune ricerche fatte in Tunisia dopo la rivoluzione, confermano che il livello d’istruzione dei tunisini in Italia tra diciassette e sessantacinque anni e, molto promettente, e che la maggior parte di chi sceglie di emigrare dall’inizio prima vera araba, possiede gli strumenti culturali che fungono da spinta nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita.
I tunisini in questa fascia di età, e con permesso di soggiorno anche temporaneo presentano livelli d’istruzione piuttosto elevati, simili a quelli della popolazione nazionale, nonostante una struttura per età più giovane. Supera il 41% dei tunisini è in possesso al più della licenza media, a fronte del 47,2 per cento degli italiani. Le quote dei diplomati italiani superano quella dei tunisini (35 e 39,7 per cento rispettivamente), mentre i tunisini hanno una percentuale di laureati superiore agli italiani, (15,4 contro il 13,0 per cento nel 2009 per quando riguarda gli italiani). Questi dati mostrano un progressivo incremento dei tunisini con un livello d’istruzione alto. A differenza della popolazione italiana, dove all’aumentare dell’età decresce la quota di persone che possiedono il diploma superiore.
Questo conferma che nell’ultimo periodo i trasferimenti dalla Tunisia riguardano le fasce di popolazione maggiormente istruite.
I tunisini fino alla rivoluzione del gelsomino sono visti da molti solo come un problema di ordine pubblico, alimentata dal nostro assistenzialismo nei diversi campi, anche se noi (tunisini) in Italia abbiamo più associazione culturale di qualsiasi altra nazione, e fanno tutto tranne quello per il quale sono stati fondati. Addirittura in una citta media piccola trovi quattro o cinque associazioni e non hanno nessun collegamento tra di loro, e quello che fa più male che non trovi un elemento di questi che abbia la tessera della biblioteca, e questo dimostra che siamo divisi, egoisti e, non all’altezza della nostra storia che sfiora i 5000 anni. Dove richiede una profonda convenzione della nostra cultura, e il dispiego verso quella italiana, che deve riflettere a sua volta sulle diversità culturali e sul perché della loro ricchezza, anche come arricchimento delle proprie identità.
Noi tunisini dobbiamo fare uscire la nostra identità culturale dalla confusione e, promuoverla, nello sviluppo della persona. In particolare, deve essere in grado di creare i presupposti per una dialettica del dare-ricevere che arricchisce i rapporti con l’identità culturale italiana e, insieme, la percezione della propria.
Questa nuova realtà che la viviamo oggi in Italia tanto più ricca e poco funzionale, poiché non è ricollegabile con le altre culture e nuove esperienze, infatti, ciò che le rende faticoso e a volte pericoloso l’assenza di agenti di mediazioni tra l’esperienza precedente, nel paese d’origine, e l’esperienza del paese d’accoglimento, cioè lo sforzo enorme che comporta l’esperienza del cambiamento d’ambiente, di vita, il passaggio da un sistema conoscitivo a un altro, da un’organizzazione della mente, appunto, da una forma operatorio-concreta del pensiero, a una simbolico-formale, insomma dobbiamo avere una capacita mentale per coprire e attraversare l’enorme distanza tra le due culture.
Il tentativo di percorrere questa distanza culturale che ci divide dovrebbe essere un percorso d’identificazione che, ci porti ai limiti della nostra cultura e ci permetta di decifrarne i significati.
In psicoterapia, una delle operazioni terapeutiche è quella di riportare, o tradurre, le astrazioni di “intellettualizzazione” a un lavoro comune tra i diversi segmenti culturale anche, si questo rimane più legato all’esperienza personale. E qualsiasi strategia d’intervento promozionale sul tema cade sugli intellettuali italiani in primis e, su gli intellettuali tunisini che, purtroppo non superano i quindici nel bel paese e questo niente confronti a una massa cosi grande d’italiani.
La ricchezza e la forza della nostra cultura araba islamica stanno, infatti, nel suo potere di diversificarsi e integrare, nella sua capacità di elaborare il tempo passato, di dare e vivere spazi diversi di esperienza e di memoria, di sperimentare la loro distanza e continuità, di trovare spazi nuovi per i sentimenti e per i linguaggi che li esprimono.
Per arrivare a questo risultato mi sembra innanzitutto necessario analizzare, conoscere e capire le varie tappe attraverso le quali noi tutti dovremo passare nel suo percorso verso la vera cultura che coinvolge tutto e tutti.
Fathi Abed