Illustrissimo Presidente della Repubblica,
siamo un gruppo di semplici cittadini che, umilmente e con il cuore in mano, si permette di scriverLe per chiederLe di attenzionare la richiesta di Grazia, avanzata dall’orafo sicilano Guido Giannì. Forse ricorderà dai notiziari e dalle cronache che questo padre di famiglia incensurato, amatissimo da tutta la sua comunità, noto per la sua bontà ed i suoi valori cristiani, per il suo altruismo e generosità, per essere un
marito e padre esemplare e un gran lavoratore di assoluta onestà, che sempre si era mantenuto creando bellezza e rifuggendo violenza e sopraffazione, era stato vittima di una ennesima brutale rapina a mano armata da membri della mafia nella sua bottega. Se le precedenti erano finite in modo pacifico, quella volta l’insensata aggressività e violenza dei rapinatori, che si era scatenata su sua moglie, terrorizzando pure un cliente, lo aveva spinto a reagire sparando colpi in aria: nata una colluttazione, Giannì aveva ucciso due banditi ferendone un terzo. Per 8 anni nemmeno si era parlato di processo. Poi, dopo tutto quel tempo, Giannì fu mandato alla sbarra e condannato persino in Cassazione a una pena lunghissima, quasi 15 anni, che da più di un anno sta scontando in carcere, per omicidio volontario. Non riconoscendo in modo veramente strano la legittima difesa. Noi non siamo nessuno per permetterci di contestare ricostruzioni giudiziarie divenute definitive e irrevocabili, io primo scrivente Umberto Baccolo, membro del consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino, sono figlio di magistrato penale quindi il nostro rispetto per la magistratura e il diritto è totale. Per quanto, leggendo carte e ascoltando testimonianze dirette, tendiamo a credere che la versione di Giannì e sua moglie, diversa da quella in sentenza, sia attendibile, credendo quindi che questa tragedia rientri appieno nella legittima difesa. Con ciò, anche se la ricostruzione passata in giudicato fosse corretta e Giannì, rapinato per l’ennesima volta, vedendo percuotere la moglie e le pistole, avesse perso la testa per quei brevi minuti di terrore e reagito esageratamente, noi le chiediamo per lui comprensione e clemenza. La sua bellissima famiglia è disperata, straziata, ha bisogno di lui. Non è un uomo cattivo, né pericoloso, né violento. Era arrivato ai 60 anni senza farsi mai manco contestare una multa e mantenendo una famiglia. La preghiamo: come dicevano i latini, quando ci si difende da un pericolo non si ha in mano la bilancia. La paura, il panico,
l’adrenalina prendono il sopravvento, si perde lucidità, si immagina la moglie o sé stessi morti e si può con un’arma regolarmente posseduta in mano perdere momentaneamente il controllo. Se anche veramente fosse andata così, cosa che nei nostri cuori non crediamo, confidiamo nelle Sue parole nell’ occasione in cui promulgò la legge recante modifiche al codice penale in materia di legittima difesa,
inviando una lettera ai presidenti del Senato della Repubblica: “Il provvedimento si propone di ampliare il regime di non punibilità a favore di chi reagisce legittimamente a un’offesa ingiusta, realizzata all’interno del domicilio e dei luoghi ad esso assimilati, il cui fondamento costituzionale è rappresentato dall’esistenza di una condizione di necessità.
Va preliminarmente sottolineato che la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della
sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia.
L’art.2 della legge, modificando l’art.55 del codice penale, attribuisce rilievo decisivo "allo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto": è evidente che la nuova normativa presuppone, in senso conforme alla Costituzione, una portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta.”
Le chiediamo un gesto di pietà, da padre, da marito, di giustizia vera, poichè la condizione in cui Guido si ritrovò fu proprio quella di un grave turbamento e stato di pericolo; permetta a questo povero uomo che ha sofferto così tanto e anche economicamente e lavorativamente ha perso tutto e chiediamo di farlo tornare a casa ad assistere la moglie malata che senza di lui sta morendo di dolore. Noi conosciamo la famiglia, sono persone veramente speciali e buone e stanno da anni passando un calvario immeritato. L’art 27 della Costituzione dice che la pena serve al reinserimento sociale: Guido Giannì è già reinserito, non deve essere riabilitato, quindi questa pena va contro Costituzione perché al posto di curare strappa, distrugge una famiglia, una piccola attività commerciale artigianale, una comunità. Lacera, non guarisce. Non ha senso. La preghiamo umilmente e con tutto il cuore: Guido e sua moglie se non potranno riunirsi a breve potrebbero non reggere altro dolore. Solo Lei li può salvare, la supplichiamo. Anche un trasferimento di Guido agli arresti domiciliari cambierebbe tutto radicalmente. Siamo nelle sue mani, signor
Presidente. Aiuti questa famiglia, salvi la vita di Guido. Quello che doveva pagare per il suo errore, lo ha pagato. Lasci che torni a fare del bene alla sua comunità. Con stima e rispetto,
- Umberto Baccolo
(Membro del Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino e
Responsabile relazioni nazionali e internazionali Associazione Il Coraggio Onlus)-
-Elisa Torresin
(Folsom Prison Blues)
- Anthea Di Benedetto (presidente di Aurea Caritate)