L’arbitro Mattarella estragga il cartellino rosso

(ASI) Dunque martedì i giocatori andranno al Quirinale per protestare con l’arbitro, Sergio Mattarella perché un giocatore, tesserato non come tutti gli altri dalla società civile, ma da un suo tifoso personale, Giorgio Napolitano, è entrato in campo e pretende anche di imporre a tutti le “sue” regole.

La metafora sportiva per sintetizzare le proteste delle opposizioni sul modo di procedere in Parlamento nell’approvazione delle modifiche alla Costituzione. Urla, insulti, risse.  Se non temessi di offendere gli ultrà, potrei dire che c’è un clima da curva. Alla Camera tre consecutive sedute notturne con un numero legale discutibile, ridotto a 226 perché dalla metà più uno (316) deve essere tolto l’esercito di ben 90 deputati in missione (ma dove vanno in un momento così delicato?) E quando l’approvazione passa, tra gli scranni vuoti dei partiti dell’opposizione usciti dall’aula per protesta, Renzi che fa? Manda un abbraccio di scherno con un tweet ai “gufi e ai sorci verdi”, dimenticando che i “gufi e i sorci verdi” rappresentano milioni di cittadini, lui non rappresenta nessuno.

Martedì sarebbe opportuno ricordare al presidente della Repubblica che, oltre che illegittimo dal punto di vista costituzionale, è intollerabile che il Parlamento possa essere ripetutamente esautorato dalle sue competenze e umiliato dalle imposizioni e dai capricci dal presidente del Consiglio.

E ricordargli anche l’abuso che Matteo Renzi fa del decreto legge. L’ultimo, qualche settimana fa, ha provocato, come tutti ormai sanno, un terremoto nel mondo bancario. Con un altro spregiudicato gioco di prestigio, con un altro decreto legge, Renzi ha imposto l’obbligo, entro 18 mesi, a tutte le maggiori banche popolari di trasformarsi in società per azioni, con l’abolizione del voto capitario.  Tralascio, in questa sede, le tante considerazioni e le critiche che si possono fare a questa legge, ma immaginiamo, per semplificare il ragionamento, che sia una riforma opportuna.

La prima cosa abnorme è stata, appunto, l’utilizzo del decreto legge. La Costituzione, lo sanno tutti, anche quelli che hanno fatto solo le serali, è precisa nell’assegnare i poteri. Quello legislativo è di esclusiva competenza del Parlamento. Solo “ in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il governo - recita l’art. 77 - adotta provvedimenti provvisori con forza di legge…i quali perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni”. Ebbene questa riforma, ammesso che fosse necessaria (per chi?) e di cui si parla almeno da vent’anni era da considerare così urgente da giustificare l’utilizzo del decreto legge? Qualcuno, sull’imminente provvedimento, ha scatenato una forte speculazione sui titoli di molte banche. Dal 3 gennaio al 9 febbraio ci sono stati aumenti straordinari, com’è successo al Credito Valtellinese, salito del 40,1 %, la Banca Popolare di Milano del 42,2 %, ma la migliore è stata la Banca Polare dell’Etruria e del Lazio con un brillante, incredibile 57 %. “Scambi anomali - li ha definiti il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, aggiungendo - con almeno 10 milioni di euro di plusvalenze potenziali”. Inevitabile l’apertura di due inchieste: da parte della stessa Consob e della Procura della Repubblica.

Si tratta di verificare se chi aveva notizie riservate abbia manipolato il mercato, con ipotesi di reato di insider trading. Accanto a questi acquisti ed aumenti anomali c’è stato anche un fatto clamoroso. La Banca dell’Etruria, che ha avuto le migliori performance, appena qualche ora dopo è stata commissariata dalla Banca d’Italia per “gravi perdite del patrimonio, infatti, al 30 settembre scorso risultavano 126 milioni di perdite”. Su una banca così mal ridotta chi avrebbe potuto investire, e far aumentare così tanto il valore dei titoli, se non qualcuno in grado di utilizzare informazioni sul decreto che aveva intenzione di fare, da lì a qualche giorno, Matteo Renzi? E’ un quesito, inquietante, al quale, ora, cercheranno di rispondere, appunto, la Consob e la Procura della Repubblica. Però c’è anche un altro piccolo particolare. Il vicepresidente della Banca dell’Etruria era Pier Luigi Boschi, il padre del ministro delle riforme, Maria Elena Boschi. Una pura e semplice coincidenza, naturalmente. Ma per cercare di allontanare subito gli inevitabili sospetti, l’ex vicepresidente si è affrettato dichiarare  con un tweet: “Smetteranno di dire che ci sono privilegi? Dura lex, sed lex”. Beh, non commissariare una banca in quelle condizioni non era concedere un privilegio, semmai commettere un reato. Comunque, le indagini ora dovranno scoprire non solo chi ha speculato, anche chi abbia inviato dati falsi alla Banca d’Italia e come e perché la banca sia stata ridotta così male. 

Nel calcio, l’arbitro, dopo due cartellini gialli, estrae il rosso, in politica quanti ne servono? 

                        

  Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia

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