(ASI)“Amo così tanto la Germania che ne preferivo due”, disse Giulio Andreotti dopo la caduta del muro di Berlino (1989) e la conseguente Riunificazione teutonica tra Est e Ovest.
In tanti però, presi dall’entusiasmo della ventata di libertà che aveva spazzato la “cortina di ferro” simbolo della “guerra fredda” USA-URSS, non capivano perché il “Divo” avesse coniato quella sorta di aforisma cinico. Ora che il colosso tedesco è tornato a dominare l’Europa e il mondo, seppur solo dal punto di vista economico, forse lo hanno capito.
Dopo un inizio molto difficile, infatti, la Germania unita ha iniziato un cammino che l’ha portata a comandare l’UE: da Helmut Kohl a Angela Merkel, passando per Gerhard Schroeder. Questi i cancellieri che hanno segnato il ritorno in auge del “pangermanesimo” o “pangermanismo”: ovvero l’aspirazione a unificare politicamente tutte le popolazioni di lingua tedesca. Un vero e proprio movimento politico che iniziò a diffondersi nel 1800 dopo il crollo dell’Impero francese di Napoleone Bonaparte.
Un movimento formato da organizzazioni nazionaliste e razziste. Un movimento diviso in due fazioni: quelle sostenute dagli Asburgo d’Austria e quelle appoggiate dal prussiano Otto von Bismarck. Ma entrambe avevano un unico scopo, un unico sogno: dar vita alla “Großdeutschland”, la “Grande Germania”. La storia purtroppo insegna che i “pangermanisti” sono riusciti nel loro intento, anche se a fasi alterne e con autentici bagni di sangue.
Ma torniamo ai giorni nostri. Dalla Riunificazione tedesca (3 ottobre 1990) a oggi, alla “Großdeutschland”, mancava una sola medaglia planetaria: quella di campione del mondo di calcio. E’ arrivata puntualmente a Brasile 2014, per la gioia degli stessi “crucchi” e di tanti potenti della FIFA.
Già, la FIFA: fondata a Parigi nel lontano 21 maggio 1904 sui valori autentici e puliti dello sport, è diventata negli anni una delle istituzioni più corrotte e monocratiche del pianeta. Joseph Blatter, svizzero di lingua tedesca, ha completato l’opera cominciata dal suo mentore, il potentissimo dirigente brasiliano Joao Havelange.
“Va’ dove ti portano i soldi”, era il motto di Joao, e Sepp lo ha fatto suo. Da colonnello svizzero, a rappresentante di orologi, passando per i comitati organizzatori di due Olimpiadi: Monaco 1972 e Montreal 1976. Questa la carriera di Blatter prima di diventare delfino di Havelange e suo erede al vertice della FIFA. Una sorta di Licio Gelli dello sport. Con i dovuti distinguo, certo, ma comunque profili simili: da militari a uomini di commercio. Gelli, soldato fascista nella guerra civile spagnola e ufficiale della Repubblica di Salò, nel dopoguerra fece il commerciante di materassi della Permaflex.
Havelange nel 1977 chiamo Blatter in Federazione con l’incarico di portare soldi e sponsor perché le casse FIFA erano esangui. C’era il rischio di non avere più la forza economica necessaria a organizzare una Coppa del Mondo. “Va dove ti portano i soldi”, e fallo senza scrupoli. E così, il giovane Sepp si mise in moto procacciando affari e stringendo alleanze con il cosiddetto “Nuovo Mondo del calcio” (Africa e Asia).
Arrivò lo storico primo accordo con uno sponsor tecnico, l’Adidas, che non versò una lira ma fornì tutto il necessario (divise da gioco, palloni ecc…) per far disputare il Mondiale in Argentina; campionato del mondo poi “acchittato” in favore del trionfo “albiceleste”, su ordine del regime militare di Videla. Due gli episodi significativi di quel ‘78: il 6-0 al Perù (comprato) nella seconda fase a gironi (per entrare in semifinale la “Seleccion” avrebbe dovuto vincere con almeno 4 gol di scarto) e il vergognoso arbitraggio pro Argentina nella finalissima contro l’Olanda. Fischietto dell’incontro, ahinoi, l’italiano Gonella.
Dopo l’arrivo degli sponsor, fu la volta dell’estensione delle frontiere calcistiche: Mondiali negli Stati Uniti (1994), in Giappone e Corea del Sud (2002), in Sudafrica (2010) e in Brasile (2014). Analizziamo attentamente gli organizzatori: due potenze come USA e Giappone e due Nazioni del BRICS (Sudafrica e Giappone). BRICS è un acronimo che racchiude i Paesi emergenti, quelli in via di sviluppo (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Del BRICS fa parte dunque anche la Russia di Putin che non a caso ospiterà i Mondiali 2018; la Gazprom (colosso russo del gas) detta legge ed è da tempo anche main sponsor della Champions League. Nel 2022 invece è in programma il controverso Mondiale in Quatar. Petrodollari. Siamo sicuri che presto vedremo un campionato del mondo in India, e uno in Cina. Altri due Paesi del BRICS.
La Germania unita ha invece avuto l’opportunità di organizzare i Mondiali in casa nel 2006, ovvero 16 anni dopo la Riunificazione. Per loro sfortuna, in quell’edizione, il cielo divenne azzurro sopra Berlino e a Blatter (nato a Visp, cantone elvetico di lingua tedesca) questa cosa diede molto fastidio, al punto che ebbe due clamorose cadute di stile: in Germania disertò la premiazione per non dare la prestigiosa Coppa all’Italia, 4 anni dopo, in Sudafrica, incaricò il vicecampione del mondo Vieira, e non un italiano, per la consegna della Coppa alla Federazione ospitante dei “Bafana Bafana”.
Diciamolo francamente, erano anni che Blatter sognava di vedere la Germania campione del mondo. Un progetto partito da lontano e culminato nel trionfo del Maracanà dopo tanti anni di gavetta, di ricostruzione dell’intero movimento calcistico teutonico post-Riunificazione, di rinascita pangermanica economico-finanziaria. I “pangermanisti” hanno dovuto attendere 24 anni per coronare il sogno di vedere la Germania unita sul tetto del mondo. I Mondiali del 1954 in Svizzera, del 1974 in Germania e del 1990 in Italia, erano stati vinti infatti dalla Germania Ovest. Quasi 5 lustri di sacrifici, sofferenze, delusioni sportive e oscure trame politiche portate avanti dalla potente Federcalcio tedesca, la DFB: Deutscher Fußball-Bund. In Europa intanto, a livello di club, si affermavano squadroni come Bayern Monaco, Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen (finalista di Champions nel 2002).
Un lungo cammino passato per tanti flop e per l’exploit del 2002. Nel ’94 negli Stati Uniti, tedeschi battuti 2-1 ai quarti di finale dalla Bulgaria di Stoichkov; nel ’98 in Francia, Germania umiliata da un’altra sorpresa venuta dall’Europa dell’Est: la Croazia di Suker che s’impone per 3-0. Nel 2002 in Giappone e Corea del Sud, come detto, l’inatteso exploit teutonico con la qualificazione alla finalissima persa poi 2-0 contro il Brasile; doppietta di Ronaldo, “il fenomeno”. Nel 2006, tra le mura amiche, la grande delusione: Germania sconfitta 2-0 in semifinale dall’Italia, autentica bestia nera della Nazionale tedesca. I “crucchi” chiudono al 3° posto. Stesso cammino in Sudafrica nel 2010: sconfitta in semifinale contro la Spagna, 1-0 gol di Pujol. Come in casa, terzo posto anche in Sudafrica per i tedeschi.
Il resto è storia recente visto che non è trascorso neanche un mese dal trionfo “pangermanico” a Rio de Janeiro; sono passati 25 giorni da quel 13 luglio 2014 che ha chiuso il cerchio. Il cerchio di un “disegno internazionale”, per la gioia della FIFA e di Blatter. Sia chiaro: la Germania in Brasile ha meritatamente alzato al cielo la Coppa del Mondo. Ha dimostrato di essere la più forte. Però…Sì, c’è un però “occulto”: quel “però” che accompagna sempre le imprese dei potenti. Tanto per cominciare, nessun arbitraggio sfavorevole. Un trend condito poi da qualche “aiutino” iniziale: sul rotondo 4-0 rifilato al Portogallo nel match d’esordio, c’è ad esempio qualche ombra. Eccesso di zelo da parte dell’arbitro croato Mazic che al 37’ (con la Germania avanti 1-0), espelle il focoso difensore lusitano Pepe reo di aver appoggiato la sua fronte a quella di Mueller, che cade e urla come un disperato. Esagerato. Esagerato Muller, esagerata l’espulsione. Un giallo sarebbe stato sufficiente. Ma in tribuna c’era “Frau” Merkel. Sai com’è. Omissis.
Ergo: trionfo meritato quello della Germania in Brasile ma comunque “auspicato”, “pilotato”. E’ impossibile aiutare a vincere squadre mediocri e il tonfo verdeoro lo ha dimostrato. Più facile “guidare” verso il successo finale, squadre forti come quella del c.t. Loew. E il discorso vale anche per l’Italia: vedi i cicli vincenti di Juventus, Milan e Inter. In Serie A da sempre vincono quasi sempre gli stessi club. Sporadiche e lontanissime nel tempo le parentesi firmate Roma, Lazio, Napoli, Verona, Sampdoria, Cagliari, Torino.
Ecco perché il presidente di Assotutela, Michel Emi Maritato, interviene nel dibattito dichiarando: “E’ ora di dire basta al Potere con la “p” maiuscola che spadroneggia nel calcio. In Italia vincono sempre gli stessi, non può essere un caso; non può essere solo meritorio. A volte, anche i successi meritati hanno una regia occulta che li ispira, un complotto studiato a tavolino. Purtroppo, tranne Calciopoli, non abbiamo prove ma dati di fatto. A livello internazionale accade la stessa cosa. Ad esempio: erano anni che i potenti del pallone auspicavano la “decima” Coppa Campioni del Real Madrid; puntualmente è arrivata. Ed erano anni che i potenti del calcio si auguravano e lavoravano per vedere la Germania sul tetto del mondo: finalmente, per loro, il sogno è diventato realtà. A volte, un trionfo sportivo, soprattutto un trionfo calcistico, rappresenta una sorta di legittimazione per il potente di turno. Questo è il caso della Germania. E purtroppo ho la sensazione che non ci libereremo facilmente di questo nuovo pangermanesimo”.
E già, il pangermanesimo di cui parlavamo in apertura di questo articolo. Forse aveva ragione Giulio Andreotti: “Amo così tanto la Germania che ne preferivo due” di Fabio Camillacci.
Redazione Agenzia Stampa Italia