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Il  23 marzo del 1919 e quello del 2013
(ASI) Se qualcuno, prima delle recenti elezioni politiche poteva ancora pensare che una nuova era sarebbe potuta sorgere per la storia d'Italia, avrà ormai capito di aver preso una grossa cantonata. Se poi pensiamo proprio ad oggi, ove si tengono due manifestazioni (una più assurda dell'altra, pro e contro un potere dello Stato), e guardiamo al 1919, non viene da piangere, ma da sorridere. E' assurdo, premetto paragonare i giganti del primo dopoguerra con i moscerini della (terza?) repubblica. Tra l'altro, dopo il primo conflitto mondiale, ne uscivamo vincitori, invece, dopo le recenti elezioni, ne usciamo ancora più sconfitti, frastornati e confusi. Dal 23 marzo 1919 si pensava al riscatto nazionale (e nell'immediato), durante il 23 marzo odierno si scende in piazza per "manifestare contro qualcuno o qualcosa", mentre un Presidente della Repubblica (terminale) sta per conferire l'incarico di governo ad una maggioranza assente e ad un Primo Ministro tra i peggiori presentabili. Dettagli non indifferenti. Sarebbe bello tuttavia, spiegare ai "finti dissidenti" odierni, come si fa la storia, e non come la si può disfare, guardando al 23 marzo di qualche decennio fa.

Il 21 marzo di quel biennio rosso, Benito Mussolini lanciava un appello sul Popolo d'Italia, al quale rispondevano 500 adepti da tutt'Italia. Fissata così per due giorni dopo l'adunata, il futuro Duce convocava per il 21 del mese gli aderenti al movimento residenti a Milano, per una riunione preliminare. A tale riunione, prendono parte i primi "proto - fascisti".  Presiedeva la riunione Ferruccio Vecchi valoroso capitano degli Arditi, affermante la necessità di porre un argine al bolscevismo, che stava per travolgere la nazione. Esposto così lo scopo della riunione, prendeva la parola Benito Mussolini, intento a riunione in un solo Fascio tutti gli interventisti della Grande Guerra e i combattenti, per indirizzarli ad una meta precisa, valorizzando la vittoria appena avuta. Tracciato il programma, Mussolini invitava gli invitati ad esprimere il loro pensiero, e ad iscriversi al Fascio Milanese di combattimento, proclamato costituito. Veniva così formata la giunta del Fascio milanese, formata da: Benito Mussolini, Ferruccio Vecchi, Enzo Ferrari, Mario Giampaoli, Michele Bianchi, Ferruccio Ferradini e Carlo Meraviglia. Questa giunta, la sera del 21 marzo, teneva la sua prima riunione nei locali del Popolo d'Italia, stabilendo che: il Vecchi presiedesse anche l'adunata del 23 marzo, Enzo Ferrari portasse il saluto agli intervenuti, le adesioni al Fascio milanese dovessero esser dirette al Popolo d'Italia. Con 217 lire per le spese, veniva eletto quale primo segretario Michele Bianchi, il quale, dai primi di aprile, diveniva il primo Segretario Generale dei Fasci.

E a grandi passi si giungeva al 23 marzo, una domenica. Come luogo, a disposizione v'era il salone concesso dalla Presidenza del Circolo degli Interessi industriali e Commerciali, al primo piano del civico 9 di Piazza San Sepolcro. L'ora magica era fissata per le 10:00 antimeridiane.

Sebbene siano passati 94 anni, è giusto almeno ricordare che i presenti di quella data cambiavano completamente la storia del nostro Paese. Presenti, erano la giunta esecutiva del Fascio milanese, presieduta dal capitano Ferruccio Vecchi. Dopo il saluto ai convenuti, interveniva, Benito Mussolini:  «Vi dico subito che non possiamo scendere a dettagli. Volendo agire prendiamo la realtà nelle sue grandi linee senza seguirla nei suoi particolari». Se non fosse chiaro, parafrasando ciò che pronunciava, è ineccepibile: agire subito. L'opposto del 23 marzo odierno.

Seguivano tre sue dichiarazioni. Con la prima, Mussolini rivolgeva il suo primo saluto e il suo reverente pensiero ai Figli d'Italia caduti per la grandezza della Patria e la libertà del mondo, ai mutilati ed invalidi, a tutti i combattenti, agli ex prigionieri che compirono il loro dovere, dichiarandosi pronto a sostenere energicamente le rivendicazioni di ordine materiale e morale propugnate dalle Associazioni dei Combattenti. Con la seconda, l'adunata del 23 marzo dichiarava di opporsi all'imperialismo degli altri popoli a danno italiano, e all'eventuale imperialismo italiano a danno altrui (proposta poi difficilmente mantenuta, a rigore e onestà storica); si accettava il postulato supermo della Società delle Nazioni (la progenitrice malata dell'ONU) presupponente l'integrazione di ognuna di esse, e nello specifico italiano, l'Italia rivendicava piena sovranità sulle Alpi e sull'Adriatico, in particolare su Fiume e Dalmazia.

In ultimo luogo, la terza dichiarazione impegnava i Fascisti a sabotare, con ogni mezzo, tutti i mezzi la candidatura dei neutralisti di tutti i partiti. Anche in questo caso, almeno un paio di frasi pronunciate dal futuro Duce sono inequivocabili: :  «Ora, si voglia o non si voglia, in queste elezioni si farà il processo alla guerra; cioè il fatto dominante della nostra vita nazionale, è chiaro che non si potrà evitare di parlare di guerra. Ora noi accetteremo la battaglia precisamente sul fatto guerra, poiché non solo non siamo pentiti di quello che abbiamo fatto, ma andiamo più in la; e, con quel coraggio che è frutto del nostro individualismo, diciamo che se in Italia si ripetesse una condizione di cose simile a quella del 1915 noi ritorneremmo a invocare la guerra come nel 1915».

Profetico o meno, Mussolini, pur di salvare la nazione, (e lo stesso Mimmo Franzinelli ricorda, in Squadristi, come fossero stati i socialisti a cominciare la lotta politica) traccia una lotta politica fatta di barricate, contro neutralisti della risma di socialisti, repubblicani e popolari.

L'assemblea chiudeva con le parole di Marinetti, Capo dei Futuristi, e di Mario Carli, Capitano degli Arditi. Entrambi portavano l'adesione dei Fasci futuristi italiani. Votate all'unanimità le tre dichiarazioni, si proseguiva nel pomeriggio, per passare, infine, alla storia. Anche all'epoca, la stampa liberale e democratica non scriveva una riga sull'evento. L'unico a darne notizia, era L'Idea Nazionale di Luigi Federzoni. I destini sarebbero poi stati comuni.

Ad onor di cronaca, per costituire un fascio, servivano cinque o dieci individui. In pochi mesi, un migliaio di fasci sarebbero sorti in tutta Italia. E mi spiace, non stiamo parlando del Movimento 5 Stelle.

Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia

 
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