Roma è una città che ha sofferto e sopportato ferite profonde a causa di una speculazione senza scrupoli contro la quale, nulla hanno potuto le politiche più sensibili e consapevoli sotto la pressione insopportabile degli interessi più disparati. Quando poi, anche la politica si rende palesemente complice di una tale tendenza distruttiva attraverso atti amministrativi che la legittimano, svanisce definitivamente il sogno di una città che si riappropria finalmente della sua dignità.
Abbiamo incontrato l’on. Roberto Morassut, parlamentare del Partito Democratico, per sentire la sua opinione come ex assessore all’Urbanistica del Comune di Roma e come semplice cittadino.
On. Morassut, qual è la sua reazione istintiva davanti ai recenti provvedimenti proposti dalla maggioranza in Comune?
Assolutamente negativa. In primo luogo per la dimensione delle cubature previste che -di fatto- corrispondono ad un piano regolatore aggiuntivo a quello già approvato nel 2008; in secondo luogo per le ripercussioni sul sistema ambientale e agricolo che l’originale piano regolatore e le leggi nazionali paesaggistiche in vigore, vincolano a sua tutela; infine perché si vuole proporre questa operazione in articulo mortis, ossia nell’ultimo periodo di vita naturale di questo Consiglio comunale, a dimostrazione della natura colpevole nelle intenzioni di chi ha presentato alcune delle delibere in questione.
Un parere personale negativo quindi, per un’operazione che oltremodo non fa bene all’economia romana perché aggiunge altro valore alla rendita urbana e finanziaria che è uno dei problemi di freno alle dinamiche economiche in questo momento storico.
La crisi del settore edilizio non dipende dalla quantità delle cubature edificabili e disponibili, la ripresa del settore delle costruzioni è legata alla capacità d’innovazione e alla natura del prodotto edilizio. Le statistiche più recenti ci dicono che l’edilizia tradizionale sta conoscendo una flessione importante, forse senza ritorno, legata alla crisi finanziaria ma anche alla vetustà del prodotto in se stesso. Sono in aumento le operazioni di riqualificazione e costruzione ex-novo, secondo standard rigorosi dal punto di vista dell’impatto ambientale e del risparmio energetico, attraverso l’utilizzo di materiali di nuova concezione, prevalentemente ecocompatibili. Non è una sconfessione preconcetta e tout-court. Ritengo infatti che sarà giusto approvare quelle delibere coerenti con il piano regolatore e con i suoi principi ispiratori, e scartare tutte quelle che vanno “in variante”, in sua deroga.
Le voci critiche nei confronti di questo possibile attentato al cuore della città si sono levate fioche, a parte la presa di posizione decisa di Legambiente. Non vede anche lei un atteggiamento troppo timido dell’opposizione di cui il suo partito è espressione preponderante?
L’opposizione e in particolare tutto il gruppo del PD in Campidoglio hanno contestato duramente, nei limiti delle loro facoltà istituzionali, alcuni provvedimenti come ad esempio la variante sulle aree agricole. Dopodiché, non dimentichiamoci che l’opposizione è per definizione minoranza e che le battaglie si fanno in aula attraverso gli strumenti a disposizione; poi però, l’esito finale dello scontro dipende dai voti espressi in assemblea che, nella sostanza, riflettono la scelta democratica compiuta dai cittadini nelle urne.
Di sociale e ambientale questa manovra ha ben poco: le quote destinate all’housing sociale sono molto ridotte e la stessa localizzazione delle aree è completamente svincolata dal sistema della mobilità. Nel piano regolatore, le aree di nuova edificazione erano state selezionate con un bando pubblico che imponeva una distanza non superiore ai 500 mt dai nodi del ferro; in questo caso le aree sono state selezionate a pioggia senza un criterio di disegno urbanistico.
Per quanto attiene alla sua domanda, come avviene sempre in ogni settore economico, una sovrapproduzione non può che creare degli squilibri e accrescere gli elementi di crisi già presenti nel sistema. Il problema esiste ma sono le scelte in un senso o nell’altro che lo alimentano.
Zingaretti si è candidato ufficialmente alla guida della Regione Lazio dopo che tutti davano per scontato un suo impegno per la città di Roma. Non crede che una scelta di questo tipo sia poco comprensibile al vostro elettorato e rischi di intensificare quel senso di allontanamento tra i vertici e la base, lamentato già in altre occasioni?
La scelta di Zingaretti è avvenuta in risposta ad una situazione di drammatica crisi in cui si è improvvisamente trovata la Regione Lazio. E’ stata una decisione sofferta, presa con grande senso di responsabilità da Nicola insieme a tutto il partito. Il Partito Democratico ha tutte le carte in regola per presentare una candidatura forte in Campidoglio, che non uscirà da qualche riunione a porte chiuse ma dalle primarie alle quali saranno chiamati tutti gli elettori. L’elemento di condivisione è inevitabile e ormai imprescindibile.
A proposito, il suo nome è circolato tra i possibili candidati alle primarie per le prossime elezioni a Sindaco di Roma. Quanto c’è di fondato in queste voci?
Per chi fa politica, diventare Sindaco rappresenta il massimo riconoscimento e l’onore più grande, Dopo quindici anni di amministrazione comunale, il mio cuore mi spingerebbe su questa strada, tuttavia, penso che in questo momento ognuno di noi è chiamato a portare il suo contributo alla definizione di candidature unitarie e condivise. Personalmente sarò candidato alle primarie dei parlamentari.
Quali scenari immagina per il prossimo futuro della politica italiana?
Spero che si possa arrivare ad un governo politico che non accantoni la cosiddetta Agenda Monti, ma la implementi con azioni di maggiore giustizia sociale a difesa delle fasce più deboli, facendo pagare un po’ di più a chi ha di più.
Quindi, l’Agenda Monti è coniugabile con una politica di sinistra?
Credo proprio di sì, questa è la scommessa di un riformismo moderno, contemporaneo ed europeo. E’ la scommessa del PD.
Fabrizio Torella – Agenzia Stampa Italia