(ASI) Palermo - «Il 25 agosto scorso ricevo la telefonata di Nello Musumeci – persona che stimo sul piano politico e umano, cui mi legano anni di militanza nello stesso partito – il quale mi dice: “Marcello, voglio che tu faccia parte della mia squadra”.
Comincio allora a pensare alla mia candidatura nella lista del presidente, peraltro da me suggerita al Coordinamento regionale del Pdl nel giugno scorso (quando ancora il nome di Musumeci nemmeno ventilava), comincio inoltre ad allertare i miei amici e mi metto a fare quattro conti in tasca dal punto di vista economico, dacché – lo so per esperienza vissuta - una campagna elettorale costa un bel po’ di quattrini. Ma il 13 settembre scorso lo stesso Nello Musumeci, mi comunica che i vertici del Pdl non gradiscono la mia candidatura nella lista del presidente. Ci sono rimasto male – anche perché non conosco, né riesco a immaginare le motivazioni del diniego – e dopo lo shock iniziale, ho inviato un lungo sms all’amico Musumeci – un messaggio fin qui senza risposta – nel quale manifestavo delusione e disappunto. Ecco, non riesco proprio a comprendere. A chi dò fastidio? A chi danno fastidio la mia militanza e la mia forma mentis, strutturata sulle lezioni e l’etica di Giuseppe e Marzio Tricoli, di Paolo Borsellino?»
A parlare è il presidente del Consiglio provinciale di Palermo, Marcello Tricoli, che non nega il suo legame mai reciso con gli ideali della destra italiana, suo punto di riferimento e forse di “rottura” con l’attuale Pdl: «Non faccio mistero del mio forte attaccamento agli ideali di quella destra cui aderirono mio padre e mio fratello – continua - e non faccio mistero di aver più volte posto la questione morale all’interno del Pdl, senza nostalgia di maniera verso AN, ma con la consapevolezza culturale di chi ha ricevuto un insegnamento forte e perentorio ( e mi riferisco ancora alla grande lezione di Paolo Borsellino, nostro amico di famiglia, oltre che a Marzio e a mio padre)».
Si pone domande fin qui inevase, Tricoli, il cui nome è legato da un filo rosso alla tradizione dell’Msi e di An: «Sarà perché non ho mai lesinato critiche civili e pubbliche al Pdl e ai tanti casi di cronaca afferenti una politica malata (il caso Regione Lazio, è di questi giorni), o perché ho espresso pubblicamente di gradire il nome di Pietro Grasso quale simbolo bipartisan per il rilancio della Sicilia, fatto sta che qualcuno – devo desumere – si è sentito solleticato o non ha gradito i miei precisi e puntuali riferimenti alla questione morale e alla dialettica interna di un partito. Ma voglio ricordare a chi oggi agisce nell’ombra, eludendo il pubblico dibattito e le pubbliche ragioni, che come consigliere provinciale ho preso tremila voti nell’ultima competizione elettorale e tremilaseicento nel 2003, inoltre alle regionali del 2006 ho ricevuto quattromilaottocento preferenze. Non è poco, se permettete. Quindi, la domanda fondamentale cui rispondere è sempre la stessa: perché?»
«Non voglio cadere nella tentazione retorica – conclude – ma voglio ricordare ciò che scrisse mio padre prima di morire: “Lo stile è l’uomo”. E io aggiungo: “L’uomo è il suo stile”. In questa situazione oscura di veti caduti non si sa da chi, non da un nome preciso bensì da un generico “vertici del Pdl”, ebbene, l’assenza di stile è di un’evidenza paurosa. Io non sono abituato a discutere con sigle astratte, ma con uomini, per confrontarmi su progetti e idee, nel rispetto di quei valori che saranno sempre il mio punto di riferimento. Ultima cosa importante: i miei consensi elettorali sono il frutto di quei valori di riferimento, della mia politica seria e non di clientele, posti di lavoro concessi e sottogoverni elargiti a destra e a manca. Qualcuno saprà dirmi, adesso, perché?»
Redazione Agenzia Stampa Italia