L’eterna polveriera balcanica

(ASI) Le relazioni, da sempre pessime, tra Serbia e Kosovo, si sono ulteriormente deteriorate negli ultimi mesi dopo la decisione di Pristina di richiedere ai membri della minoranza serba di cambiare le targhe delle loro auto da quelle serbe a quelle kosovare.

Una politica già applicata dalla Serbia con la minoranza kosovara. Il governo kosovaro di Kurti ha dichiarato che i documenti identificativi e le targhe dei veicoli serbi non avrebbero più avuto validità in Kosovo. A Bruxelles il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha tenuto incontri separati con il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro delle autorità provvisorie di Pristina, Albin Kurti.

 

Queste le dichiarazioni di Aleksandar Vucic in conferenza stampa: Non aspettatevi che i serbi si ritirino o che si sentano bene. C'è una nuova generazione di bambini, giovani uomini nel nord del Kosovo e non sopporteranno questa situazione. Non vedono il Kosovo come paese indipendente, come fanno 22 dei 27 paesi membri dell'UE, lo sentono come un territorio della Serbia.

Mentre per Kurti:

I cittadini del Kosovo sono legittimati a stare in allerta per le azioni distruttive della Serbia. Da una parte c'è lo stato democratico del Kosovo, dall'altra strutture illegali serbe, con la presenza di gang criminali: non dobbiamo abbandonare le politiche basate sulla tolleranza zero sul crimine organizzato. La minoranza serba, che vive principalmente nel Kosovo settentrionale, ha reagito con rabbia alle disposizioni kossovare ed ha posto blocchi stradali e attuato azioni dimostrative davanti agli agenti di polizia del Kosovo. Il segretario generale della NATO Stoltenberg ha chiesto una sforzo da parte dei contendenti ed ha affermato che le truppe a guida NATO di stanza in Kosovo hanno rafforzato la loro presenza al confine settentrionale del Kosovo con la Serbia a causa delle attuali tensioni e sono pronte a intervenire a salvaguardia di tutti.

Alzando la posta in gioco, i funzionari russi hanno recentemente iniziato a sostenere l’istituzione di una base militare in Serbia, mentre Jens Stoltenberg, chiamando al telefono il premier serbo Aleksandar Vucic pare abbia affermato: Tutte le parti devono impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo mediato dall'Unione Europea e risolvere le divergenze attraverso la diplomazia. In virtù di questo va chiarito che secondo la risoluzione 1244/99 del Consiglio di Sicurezza ONU il Kosovo sarebbe ancora parte della Serbia, così come le sue miniere e il potenziale economico di quell’area. Quando si menziona il potenziale economico ci si riferisce nient’altro che alla lignite, vale a dire il carbone con ben 15 milioni di tonnellate a voler essere precisi. Il Kosovo rappresenta il quinto deposito al mondo del prezioso minerale, un giro d’affari che muove diversi miliari di euro per anno. Ecco quindi il busillis: la Serbia vede il Kosovo come parte di essa non solo per questioni identitarie, ma anche per ragioni di real politik economica, sulla scia di atteggiamenti già rodati da altre grandi potenze (e non solo dalla Russia). Dall’altro lato il Kosovo reclama il definitivo riconoscimento internazionale in previsione di una maggiore partecipazione nel contesto internazionale (e quindi NATO). Lo stallo del riconoscimento internazionale blocca i processi di relazione intergovernativa di Prishtina e il problema risulta quasi tautologico: il riconoscimento è necessario non solo per i futuri sogni internazionalistici, ma anche e sopratutto per preservare l’indipendenza. La questione kosovara, rientra nell’ennesima grave crisi della zona balcanica, un’eterna polveriera che, nonostante il relativo silenzio degli ultimi anni, rischia di esplodere nuovamente.

Emilio Cassese -  Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

fonte: Peter Fitzgerald, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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