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Gabriele D’Annunzio: un binomio di genio e sregolatezza
(ASI) Il Vate. Con questo termine non si può che accostarlo a Gabriele D’Annunzio. Un uomo che ha fatto della sua vita quello che voleva. Tra eccessi, virtù. Grandioso. Maestoso nello stile e fondatore di un modo di vivere assoluto. Il Vate visse in modo lirico, teatrale. Il suo animo era un misto: ribelle, romanziere, poeta, autore teatrale, interventista, politico, eroe di guerra, creatore eccelso di famosi slogan entrati nel vocabolario comune come “tramezzino”, “velivolo” o “automobile” indirizzato al femminile, come scrisse a Giovanni Agnelli, fondatore della FIAT: “essa ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice”. D’Annunzio ha fatto della sua vita un’opera d’arte, grande seduttore, latin lover. Indro Montanelli disse una volta che il filosofo Nietzsche non aveva mai letto le opere di D’Annunzio, ma ebbe la pretesa di essere la incarnazione. Le sue idee rivoluzionarie come: il sogno di un’aristocrazia capace di elevarsi al di sopra delle masse, tramite il culto del bello, l’arte di una vita eroica. Un Dio sulla Terra il suo tipo di superuomo. Il Vate dal canto suo era uomo instancabile, lavoratore che si isolava per lunghi periodi pur di concludere le sue opere. Da giovane il poeta rivoluzionario fece il cronista per la sezione mondanità nella Capitale italiana. Molti suoi suoi pezzi avevano del rivoluzionario, idee che si tramuteranno negli anni a seguire nell’azione interventista di quel periodo e che ispirò Mussolini nel programma di Sansepolcro con la nascita dei Fasci di Combattimento. La sua ambizione era quella di possedere tutto, era il suo imperativo categorico. Genio e sregolatezza. Grande amante dell’arte e delle donne soprattutto, artista geniale e poliedrico. Impegnato in politica a favore delle masse più povere, del proletariato. Famosissima la leggendaria entrata a Fiume con i suoi legionari. Il Vate proveniva da una famiglia medio-borghese, benestante. Il D’Annunzio fece carte false per frequentare i salotti che contavano all’epoca. Singolare la sua vita da ricco ma senza soldi in tasca. Altra particolarità del poeta che lo fece conoscere al grande pubblico. Frequentava i posti più importanti, ville maestose; amava le donne in un misto che era tipico della sua persona, le amava, le insultava, le esaltava con i suoi versi pieni di trasporto emozionale. Isadora Duncan, una famosa danzatrice americana, più grande di età di D’Annunzio, in una sua opera intitolata “Memorie” scrisse: “Quando D’Annunzio ama una donna, la innalza e innalza la sua anima al di sopra della terra, fino alle regioni divine dove si muove e risplende la Beatrice dantesca. Di volta in volta fa partecipare ogni donna all’essenza divina e la porta così in alto da indurla ad immaginare di essere davvero sul piano di Beatrice”.

Proprio a Parigi, uno dei salotti più importanti e mondani circa i rapporti che contano, D’Annunzio visse un periodo di vertiginosa importanza, un uomo che nella capitale francese presero come un divino, un culto. Quando il capriccio del poeta finiva e lui abbandonava l’amante di turno per un’altra, quel velo di luce scompariva e la donna tornava nella sua dimensione mortale. Ogni donna della vita del poeta era stata importante, perché tutte loro hanno fatto da ispirazione alle sue opere, poesie, romanzi, drammi teatrali. Alla figlia di un suo professore ad esempio, Giselda Zucconi, dedicò il “Canto novo”; alla giovane duchessa Maria Hardouin che diventerà in seguito sua moglie, dedicò i versi di “Peccato di maggio”. Alla principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas di Ramacca dedicò la poesia “La passeggiata” e il romanzo “L’innocente”. Alla pittrice americana Romaine Brooks “La Cinerina”, il romanzo “Le vergini delle rocce”.

Gabriele D’Annunzio, il Vate, un uomo poliedrico, come poliedrica fu la sua intera esistenza. Personaggio straordinario che dominò il panorama politico e letterario per un arco di cinquant’anni.

Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia

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