×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 113
Fuga di cervelli:i giovani chiedono un futuro in Italia basato sulla meritocrazia

(ASI) Lettere in Redazione. Catania - Mille euro al mese per un ricercatore ed 800 per un dottorando: questa la media degli “stipendi” percepiti dai “cervelli” in Italia. Il triste fenomeno della fuga dei cervelli, ormai realtà consolidata nel nostro Paese, è stato in questi giorni al centro dell’attenzione del Governo, che ha emanato un provvedimento sulle agevolazioni fiscali tese ad incentivare il rientro in Italia dei “cervelli” che si sono specializzati all’estero.

Sul provvedimento si era pronunciato Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), il quale aveva sottolineato come, in un momento di crisi come quello attuale, l’iniziativa del Governo fosse buona ma non sufficiente ad arginare il fenomeno.

Riserve espresse anche dal capogruppo Studenti per le Libertà-Azione Universitaria al CNSU Erio Buceti: «La situazione precaria che da anni vivono i nostri ricercatori e dottorandi deve essere risolta a lungo termine. È impensabile che questa professione sia retribuita nel nostro Paese con stipendi pari ad un terzo di quelli percepiti negli altri Stati europei».

Concorde anche il vicepresidente di Azione Universitaria Dario Moscato: «Lo Stato non ha mai agevolato i nostri cervelli, adesso però è il momento di cambiare le cose, non solo durante questo governo tecnico, ma anche per il futuro».

Riguardo poi le critiche mosse dal ministro del Welfare Fornero sulla scarsa istruzione dei giovani italiani, Buceti dichiara: «Il problema non sono i giovani che non studiano, semmai l’intero sistema di formazione offerto dalle scuole e dalle università italiane. Dovrebbe essere riveduto e corretto per garantire la soddisfazione delle esigenze del Paese. In ogni caso, sarebbe opportuno che lo Stato si interroghi su che cosa intende fare alle sue università. Di sicuro i prossimi due anni continueranno ad essere difficili ma è importante capire fin da ora quale università si vorrà tra sei o sette anni».

Continua a leggere