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Il commercio delle armi e l’ipocrisia Onu
(ASI) Primo sì italiano al disegno di legge per la ratifica del Trattato internazionale sul commercio di armamenti, l’Arm trade treaty, varato dall’Onu lo scorso aprile. Lo scorso 12 settembre la Camera ha approvato il testo, che ora passerà al Senato, all’unanimità con 462 sì su altrettanti deputati presenti. Il documento, che per entrare in vigore a livello internazionale ha bisogno di essere ratificato da almeno 50 Paesi, punta a stabilire un maggiore controllo sul commercio bellico per evitare che un numero sempre crescenti di armi entrino in Paesi in cui non vengono rispettati i diritti umani o possano scatenare nuovi conflitti. In occasione del voto alla Camera Sel ha presentato un Ordine del giorno, sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, con il cui il Governo si impegna a “promuovere nei contatti bilaterali e multilaterali, l’adesione ovvero la ratifica di altri Stati al Trattato in questione affinché esso possa avere sempre più una dimensione universale”, anche in considerazione del fatto che i Paesi Ue da soli potrebbero garantire più della metà delle ratifiche necessarie per rendere efficace questo testo.

 

Sotto la pressione della Rete italiana per il disarmo, Palazzo Madama potrebbe ora approvare il testo entro la fine del mese, ovvero in tempo utile per portare la ratifica per la convocazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite prevista proprio per l’ultima settimana di settembre.

Presentato con grande enfasi al Palazzo di vetro, questo trattato appare però fin troppo ambiguo. Nato per scoraggiare il commercio degli armamenti il testo finale appare però troppo limitato alle sole armi leggere e di piccolo calibro, più nello specifico si tratta di una serie di limitate forme di monitoraggio sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano esclusi da ogni controllo internazionale sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militari. Questi ultimi in particolare sono quelli che muovono la parte più importante e sofisticata del commercio bellico, e che comprendono le armi più moderne e letali. Aspetto già evidenziato da più parti a livello internazionale tanto che è in corso anche una campagna che, via internet, raccoglie firme per rendere questo trattato più restrittivo rispetto all’attuale stesura.

In attesa che il testo voluto dall’Onu entri in vigore a livello internazionale e che vengano colmati i vuoti legislativi, sul fronte italiano da segnalare che Finmeccanica continua a fare grandi affari con il commercio di armamenti. Solo per citare il caso siriano si tratta di commesse italiane di sistemi militari di tutti gli anni ’90 che è proseguita fino al 2009 per un valore di circa 230 milioni di dollari e che nel primo decennio di questo secolo ha visto consegne effettive di materiali per 130 milioni di euro tra cui sistemi di puntamento, tutte informazioni presenti sul sito della controllata statale ma che ora, come denunciato dall’associazione Unimondo, sono state rimosse, primo segno della maggiore attenzione prestata dall’azienda ad una maggiore riservatezza sui propri affari, oltretutto leciti.

Un comunicato stampa diffuso dall’azienda la settimana scorsa informava che la Selex Es, società del gruppo, aveva siglato un accordo, per un importo di circa 40 milioni di euro, che prevede la fornitura ad un non specificato Paese del Medio Oriente del progetto Falco, un sistema tattico senza pilota in grado di volare ad altitudini medie, caratterizzato da un’ampia autonomia e impiegato per applicazioni di sorveglianza nel campo della sicurezza e della difesa.

Non vorremmo azzardare ipotesi errate ma perché tanta segretezza? La fornitura riguarderà forse la Siria o un altro Paese dell’area, esempio Libano o Iran, cui non si potrebbero fornire armi o altri sistemi bellici? Visto che l’accordo è stato siglato a Londra nel corso del Salone Dsei, defence & security equipment, tanta segretezza appare quanto meno esagerata, se non addirittura sospetta.

Fabrizio Di Ernesto – Agenzia Stampa Italia

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